sabato 29 novembre 2014

PONTI-EPOCHE-BUDAPEST A NAPOLI…NON E’ SOLO UNA MOSTRA



Una foto del ponte Elisabetta durante la ricostruzione negli anni 60
Dopo Strasburgo, Bruxelles, Lubiana, Maribor, Bucarest e Roma, la mostra Ponti-Epoche-Budapest fa tappa a Napoli. L’inaugurazione ufficiale giovedì scorso, nell’antisala del Consiglio provinciale di Napoli presso il complesso di Santa Maria La Nova. Moderatrice dell’evento Judith Jámbor Katalin (nella foto in basso), presidente dell’Associazione culturale “Maria d’Ungheria Regina di Napoli” cui va il merito, insieme al Consolato onorario d’Ungheria a Napoli, di aver inserito il capoluogo partenopeo nell’iniziativa.

Molto nutrita la rappresentanza istituzionale a partire dall’assessore provinciale alla cultura Francesco De Giovanni di Santa Severina e dal console onorario Andrea Amatucci. Nei loro interventi sono state riconosciute la validità e la potenzialità di manifestazioni del genere in un contesto socio-economico particolarmente complesso e problematico come quello napoletano. La sinergia tra istituzioni sul piano artistico e scientifico è un elemento imprescindibile nell’organizzazione di eventi che riescono a trasmettere dei valori anche alla luce della storia e delle comuni esperienze passate. Napoli e Budapest, il cui gemellaggio a partire dal 1997 è stato menzionato da László Gálantai addetto agli Affari politici dell’Ambasciata d’Ungheria in Roma, non hanno in comune solo l’acqua nelle sue forme marina e fluviale. I destini delle due città sono stati legati da figure femminili di rilievo come la regina consorte Maria d’Ungheria e Beatrice, moglie del sovrano rinascimentale magiaro Mattia Corvino.

La dottoressa Judith Jámbor
Ponti-Epoche-Budapest “è al tempo stesso storia e storia dell’arte”, ha spiegato Péter Módos, presidente della fondazione Európai utas (Viaggiatore europeo), è una mostra fotografica di 29 pannelli e di brani didascalici dedicati alla capitale ungherese ed alle sue infrastrutture più caratteristiche dal punto di vista storico, architettonico, turistico: i ponti. Nel saluto scritto del sindaco di Budapest, István Tarlós, inoltrato proprio per l’apertura della rassegna, si legge che “le immagini esposte abbracciano più di due secoli della storia della città di Budapest e illustrano anche quella dell’Ungheria, infatti la città è sempre il centro degli avvenimenti storici del Paese, come la rivoluzione e lotta di liberazione contro gli Asburgo del 1848-49, la seconda guerra mondiale, del 1945, l’assedio della città, oppure il 1956, la rivoluzione e la sua oppressione”. Il primo cittadino di Budapest ripercorre nel suo messaggio la tragicità di alcuni eventi immortalata proprio dai rottami nel Danubio ghiacciato del Ponte delle Catene fatto esplodere dai nazisti, oppure dai tank sovietici a bloccare il Ponte Margherita. Oggi quegli stessi ponti sono il simbolo paesaggistico migliore della capitale magiara in un contesto panoramico unico in cui si sposano fiume, pianura e colli.

I contributi istituzionali alla mostra hanno introdotto un successivo approfondimento culturale offerto dagli interventi di Amedeo Di Francesco, professore ordinario di Lingua e Letteratura ungherese all’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, e di László Csorba, direttore del Museo Nazionale di Budapest. 

Gli spunti di riflessione offerti dal professor Di Francesco partono dalla letteratura magiara e portano a considerare un aspetto: i ponti di Budapest sono sempre stati e sono tuttora un punto di osservazione privilegiato, uno spazio fisico che invita alla riflessione. In altre parole l’incontro tra le case prospicienti il fiume e il fiume stesso è fonte di ispirazione comune per tanti poeti e scrittori nel modellare le loro considerazioni sulla storia, sul mondo. Così allora Gyula Illyés pensando al ponte delle catene ed al suo ideatore, il patriota risorgimentale ungherese István Széchenyi, scrive: ”il ponte vale più dei sui libri”, a significare come un’opera materiale sia così determinante da incarnare l’idea dell’ unificazione nazionale ancor più di uno scritto o di tanti discorsi. Il ponte delle catene non è tuttavia il solo a figurare nelle antologie ungheresi. János Arany, grande poeta ottocentesco, sceglie il ponte Margherita per titolare i versi del suo Híd-avatás (L’Inaugurazione del ponte) e Sándor Weöres riferendosi al ponte Elisabetta dirà che è quello che in inverno non si vede, immerso com’è nelle nebbie molto frequenti del periodo. Quanto detto riguarda i ponti reali ma l’immagine che il professor Di Francesco vuole lasciare è ideale: “l’Ungheria stessa è ponte tra sé stessa è il mondo, tra Oriente e Occidente, un tassello nella costruzione dell’Europa”.

La ricostruzione storica della mostra è affidata invece al professor Csorba la cui relazione parte dal Medioevo, quando la capitale dell’Ungheria è solo Buda collegata a Pest - fulcro dello sviluppo economico dell’intera area - attraverso un ponte non permanente adagiato sul fiume e rimosso ad ogni fine della stagione calda. Csorba sofferma la sua esposizione su quello che è il vero simbolo della città, sul primo ponte di Budapest, il Lánchíd (Ponte delle Catene). Inevitabile l’accostamento con il suo ideatore, István Széchenyi, e segnatamente con la sua esperienza britannica. Széchenyi resta affascinato dall’Inghilterra, dagli stili architettonici, dall’illuminazione pubblica dai sistemi di scarico idrico, water closet compresi. Ma a colpirlo maggiormente sono le macchine, gli allevamenti di cavalli e la Costituzione. Il parlamentarismo liberale inglese come modello di composizione e organizzazione della comunità nazionale avrà una notevole presa sul politico ungherese. Inglese sarà anche il progettista del Ponte delle Catene, quel William Tierney Clark tra i pionieri nell’ideazione di ponti a sospensione. L’Hammersmith Bridge di Clark sul Tamigi si può considerare la prova generale del Lánchíd ovvero del ”GREAT SUSPENSION BRIDGE OVER DANUBE”, come si legge sulla tomba dell’ingegnere d’oltremanica. Il Lánchíd è l’opera che caratterizza una città, un’epoca, un uomo. Anche per questo Kossuth Lajos definisce Széchenyi ”il più grande magiaro”.




La mostra Ponti-Epoche-Budapest, che resterà visitabile fino al prossimo 10 dicembre, è un biglietto da visita speciale per la città che, come ha sottolineato il professor Di Francesco, “ora è il meglio dell’attuale Ungheria”. Unanime è stata in conclusione la manifestazione di un intento, di una speranza: vedere realizzato un altro ponte virtuale nel prossimo futuro con una mostra su Napoli a Budapest.

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giovedì 23 ottobre 2014

IL 23 OTTOBRE, MÁRAI E UN PENSIERO SUL ‘56

Nel novembre del ’56 lo scrittore e poeta ungherese Sándor Márai torna in Europa dagli Stati Uniti dove si era trasferito già quattro  anni prima. Quando scrive dell’Italia nelle note del suo diario che riportiamo di seguito, l’intervento di “normalizzazione” delle truppe sovietiche in Ungheria è cominciato già da una decina di giorni. L’Armata rossa ha varcato in forze i confini magiari e la rivoluzione di ottobre è di fatto fallita.

Napoli, 15 novembre.  L’aereo viaggiava alto sulle Alpi nella luce della luna piena. In basso le Alpi risplendevano di blu, innevate. A Napoli lo scirocco. Per le strade automobili con altoparlanti e folle. Tutti gridano: “Ungheria, Ungheria!”. Questo grido risuona sotto il Vesuvio, nel porto. Grande folla nella chiesa di Via Brigida. Il prete, a braccia aperte, esclama: “Ungheria!” e “…mortificazione…”. Tutti abbassano la testa. Molti nascondono le facce nel palmo delle mani.

Roma, 16 novembre. Z. - diplomatico, italiano – dice:”Non creda a questi manifesti: alle dichiarazioni da lacrime di coccodrillo dell’intellighenzia comunista che fa mea culpa. I comunisti gioiscono per quello che succede ora in Ungheria”. Parla nervosamente. Conosce molto, ha visto molto. “I pericoli sono grandi, perché nessuno può permettersi...nè i russi, nè gli ungheresi… Da situazioni disperate possono originare solo conseguenze disperate”.  E ancora: “L’Ungheria ora avrebbe bisogno di uno statista che sappia contrattare. Non di un Garibaldi, ma di un Cavour”.

Due brani, poche parole e qualche gesto per esprimere un concetto, uno stato d’animo, un atteggiamento che definire colpevole forse è sbagliato: l’ipocrisia del non-intervento. Nella politica ovvero nella storia il concetto di colpa è molto relativo, approssimativo. Nella dialettica tra gli stati poi, quello che è giusto lo decide il forte, il vincitore, un solido quanto temporaneo blocco di alleanze. 

Nella parte democratica dell’Europa, quella che geograficamente incarna insieme all’alleato americano l’ “Occidente” inteso come sistema di valori costituiti, i dibattiti sulla situazione internazionale e sui “fatti d’Ungheria” dividono, lacerano, scuotono le coscienze di tutti. In primis quelle dei politici. In Italia ad esempio, la compattezza del Partito comunista è attraversata dalle posizioni “pericolose” di chi, in netta minoranza, condanna la nuova invasione sovietica. I tank russi per le strade di Budapest sono il cinico prezzo da pagare per preservare una comunione di intenti ideologica col paese, l’Unione sovietica, che più di ogni altro rappresenta la forma statale e istituzionale del socialismo, il modello da seguire. Lo stesso cinismo tuttavia appartiene a chi quel modello lo combatte sul piano politico ed economico e che non vuole correre il rischio che il confronto si trasformi in scontro bellico. In troppi sono già morti per Danzica e morire per Budapest ora non sarebbe lo stesso, non sarebbe giustificato. In gioco c’è un equilibrio fragile ma stabile, il mondo bipolare uscito dal secondo conflitto mondiale che né piccoli né grandi focolai possono minacciare. Ovunque essi siano vanno spenti. 

La mortificazione, la testa bassa, i volti nascosti tra le mani di cui scrive Márai sono probabilmente il segno di una coscienza che nonostante tutto esiste, una coscienza che riconosce, seppure nell’impossibilità di intervenire e nell’ipocrisia dell’inazione, il senso della lotta rivoluzionaria intrapresa dai pesti srácok, quei ragazzi di Pest che si ribellano ad un sistema che li opprime e che ammazza la loro libertà. I ragazzi di Pest non hanno troppo tempo per dibattere di coerenze ideologiche e di sistemi politici. Sono soli di fronte ad un destino segnato e inevitabile. 
Soli ma determinati perché, come lo stesso Márai dirà in una composizione dedicata proprio ai fatti del 1956, ”dal sangue sorge sempre nuova vita”.


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Anche quest'anno il Governo ha allestito un sito web dedicato dove è possibile consultare il programma ufficiale delle commemorazioni nonchè altre notizie storiche sulla rivoluzione del 1956.



mercoledì 20 agosto 2014

OGGI, 20 AGOSTO: SANTO STEFANO D’UNGHERIA E FESTA DEL PANE NUOVO

Con la solennità di Santo Stefano d’Ungheria, santo patrono, re e fondatore della nazione ungherese, coincide anche la festa del pane nuovo (új kenyér ünnepe). Oggi questa corrispondenza ha una valenza fortemente religiosa e cristiana. In tutte le chiese del paese si procederà alla benedizione del pane ovvero del pane cotto con la farina prodotta dalle prime mietiture estive.

La paternità della ”festa del pane nuovo” non è ancora unanimemente riconosciuta. Sembra che le prime tracce risalgano addirittura ad una commemorazione del calendario liturgico medioevale, ossia quella della divisione degli Apostoli osservata il 15 luglio. In tempi relativamente recenti, a cavallo tra il XIX ed il XX secolo, è al ministro dell’agricoltura Ignác Darányi che si deve la diffusione delle ”rinnovate” feste della mietitura la cui valenza è marcatamente sociale, rivolta all’instaurazione di ”un buon legame patriarcale”, e quindi pacificato, tra proprietari e lavoratori della terra in tempi di scioperi e sommosse nelle campagne. Il 20 agosto non è ancora contemplato, almeno fino alla vigilia del secondo conflitto mondiale, quando a Szeged, principale città sulle sponde del Tibisco, viene proclamata a scopi puramente turistici la festa del ”pane magiaro”.

A scegliere di celebrare il pane nuovo proprio nel giorno delle celebrazioni dedicate a Santo Stefano è il Partito comunista. Quello che può sembrare un paradosso, una inusuale concessione da parte di una forza politica profondamente laica nonchè in aperta opposizione ad ogni forma di culto, è un gesto conciliante. E’ troppo forte l’immagine del partito che opera in simbiosi con una superpotenza straniera, l’Unione sovietica, facendone gli interessi anche a svantaggio della patria stessa. Allora si può recuperare il rapporto con gli ungheresi anche attraverso la difesa e la rivalutazione di una tradizione popolare mai decisamente collocata nel calendario ma sempre fortemente sentita da una nazione come quella magiara legata al lavoro della terra.  Stefano primo re d’Ungheria non è un santo per il regime ma un ”rivoluzionario”, quanto basta per evitare pericolosi fraintendimenti. 

Da allora, tra le icone simboliche del 20 agosto ungherese, c’è anche la pagnotta, dalla crosta chiara e legata in un nastro dai colori del tricolore nazionale. Il senso di una festa è anche questo. La tradizione, la cultura, la religione, la politica si fondono attorno al padre della nazione, Stefano e sulle mense si benedice il frutto per eccellenza della terra su cui si vive e si lavora, il pane. Quel pane che, come i miei nonni ungheresi mi hanno insegnato, prima di essere tagliato va segnato col segno della croce.

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Per consultare i programmi completi delle celebrazioni ufficiali in onore di Santo Stefano consulta il link dedicato. 





domenica 27 aprile 2014

ANALISI POST-VOTO: L’UNGHERIA E’ DI NUOVO ORBÁN


Soffiate nei corni, sellate i cavalli, perché domani mattina partiamo”. Era il 16 febbraio 2014. Viktor Orbán chiudeva così il suo annuale discorso sullo stato della nazione. Con il lessico epico delle grandi occasioni cui ci ha da tempo abituato chiamava idealmente a raccolta tutti i suoi elettori. C’era da sferrare l’assalto finale agli ultimi cinquanta giorni di campagna elettorale. C’era da rinvigorire l’entusiasmo del popolo arancione del suo Fidesz. C’era da convincere gli indecisi a riconfermare la stessa maggioranza, quella maggioranza dei due terzi del parlamento con la quale sta plasmando il paese a partire dalla vittoria alle politiche del 2010, l’anno - come spesso ricorda il premier - del nuovo cambio di regime (rendszerváltás). Orbán non ha vinto le elezioni. Ha stravinto e ricomincia da dove aveva lasciato. Con quella maggioranza dei due terzi che, come ha dichiarato di recente, ”sarebbe più di una semplice legittimazione e aprirebbe nuovi orizzonti al punto da far immaginare che noi ungheresi siamo veramente capaci di tutto”. Come ha scritto Ildikó Csuhaj su Népszabadság non avrebbe in realtà fatto molta differenza per Orbán il poter disporre o meno di una maggioranza qualificata.

Durante la legislatura che si è appena conclusa sono state già poste solide premesse per la realizzazione del sistema di Orbán. Una nuova Costituzione  insieme a tutta una serie di modifiche successive volte a blindare nella legge fondamentale i capisaldi di un programma politico, dalla condanna del comunismo e dei suoi eredi al modello di famiglia basata sul matrimonio tra uomo e donna. Una nuova legge elettorale e la riforma dei regolamenti parlamentari. La  trasformazione della disciplina dei media e dei rapporti tra stato e confessioni religiose. Un insieme di interventi incisivi dunque, senza trascurare tutti gli uomini in quota Fidesz eletti a ricoprire le principali cariche istituzionali dalla Presidenza della repubblica, alla Banca Nazionale, dalla Corte dei Conti alla Procura generale. Manca ancora una cosa però. E Orbán non ne fa un mistero, è il suo credo politico che ha ribadito anche alla vigilia del voto:”Ho costruito - ha dichiarato in un’intervista al Magyar Nemzet - la piccola comunità di partito del Fidesz radicale e anti-regime (comunista ndr), poi, con l’aiuto dei circoli civici, la grande comunità della destra di ispirazione popolare, e da quando siamo al governo lavoro alla costruzione di una comunità nazionale che comprenda in sè anche la sinistra”. Supera l’appartenenza politica Orbán e supera anche i confini.”Egy az ország”, Uno è il paese. Questo era lo slogan della manifestazione di chiusura della campagna elettorale del Fidesz. Uno è il paese e Viktor Orbán ne è l’incarnazione. O almeno questa è la sua ambizione. Ed è stato premiato dagli ungheresi.

Troppo ampio il vantaggio per pensare che media più imparziali, circoscrizioni elettorali non ridisegnate ed una percentuale più alta di affluenza alle urne potessero ribaltare il risultato. A colpire non sono tanto i 20 e i 25 punti di distacco dati a socialisti ed estrema destra quanto i 40 che separano il Fidesz da LMP,”La Politica può essere diversa”, piccolo partito ecologista, alternativo, non legato ai vecchi schemi destra-sinistra. Segno questo di una profonda adesione dell’elettorato all’operato del governo e cosa non proprio scontata se si considera che in un paese come l’Italia, ad esempio, un movimento di protesta che fa dell’anti-politica il suo programma rischia di diventare il secondo partito. Ad eccezione forse solo di Giustizia e Sviluppo di Erdogan in Turchia,  Fidesz è il partito più votato in Europa. Il primo a congratularsi con Orbán è stato il presidente della Commissione europea Barroso. Non che il presunto antieuropeismo del primo ministro magiaro avesse bisogno di gesti del genere per essere smentito. La Merkel, Cameron e altri hanno fatto lo stesso. Il voto ungherese riconferma il leader del Fidesz tra i 17 capi di stato e di governo che vanta il Partito popolare europeo. Ed è stato il presidente del PPE in persona, Joseph Daul, a tessere elogi ad Orbán una settimana prima del voto in una Piazza degli Eroi gremita di sostenitori del premier, incassando  - cosa non meno importante - un consistente pacchetto di voti per il suo partito alle prossime europee.


Non è più tanto sconosciuto Viktor Orbán e forse l’”occidente” è chiamato a riconsiderare la qualifica di leader nazionalista-estremista spesso attribuitagli anche perchè in Ungheria questo binomio appartiene a chi è più a destra di lui, lo Jobbik, contro cui proprio il Fidesz costituisce un argine alla crescita. I due terzi del resto mettono definitivamente al riparo la maggioranza parlamentare arancione da pericolose alleanze. Insieme al suo premier anche l’Ungheria inizia a far parlare di sé. E se ne parla bene. Che non sia una potenza economica è noto. Che non aspiri a diventarlo è altrettanto noto. In un anno però il tasso di disoccupazione ha perso più di due punti e il trend è in ulteriore discesa. Rispetto al febbraio 2013 poi la produzione industriale magiara è cresciuta dell’8,2%. Hanno fatto meglio solo Slovacchia e Romania. Questo è in linea con un obiettivo ben preciso di Orbán che vuole l’Ungheria manifattura d’Europa. In tempi di crisi segni positivi davanti agli indicatori economici sono merce rara e gradita. Altri quattro anni serviranno a capire se sempre più ungheresi godranno dei benefici di una politica economica divisa tra autosufficienza ed interdipendenza. Poi Orbán, vecchio politicamante ma non anagraficamente, lascerà la scena. O forse no. Magari rivivrà sotto altre specie istituzionali e solo allora sapremo quanto è facile pensionare i politici sulle sponde del Danubio.




giovedì 10 aprile 2014

MENO VENTIDUE, DOVE SI DECIDE LA MAGGIORANZA DI ORBÁN

Ágnes Kunhalmi e László Kucsák al voto di domenica scorsa
A Pestszentlőrinc – Pestszentimre non c’è solo l’aeroporto. Sembra che i primi insediamenti risalgano già a prima dell’anno mille all’epoca delle migrazioni magiare dalle regioni trans-uraliche. Nel territorio del quartiere , che dal 1950 è il diciottesimo distretto di Budapest , c’erano le due grandi caserme evacuate nel 1990 che dalla rivoluzione del ‘56 davano alloggio alle truppe sovietiche. Siamo nella periferia sud-est della capitale. Quasi centomila abitanti distribuiti tra casette basse, mono o bifamiliari, e l’isolato che porta il nome della capitale cubana, in ungherese Havanna. Affinità ideologiche e architettura tuttora legate. Una lunga serie di palazzoni grigi in pannelli prefabbricati stile anni sessanta dove in effetti la giovane candidata socialista Ágnes Kunhalmi ha sbancato. Ha vinto in otto delle undici sezioni di questo caseggiato notoriamente “di sinistra”.  Ma non è bastato. Nel collegio è sotto di 22 voti.  20.082 contro i 20.104 del suo sfidante, il parlamentare del FIDESZ-KDNP László Kucsák. I blogger si divertono a dare i numeri e fare previsioni. Alle ultime elezioni amministrative, nella sezione ora in bilico, i socialisti vinsero (di pochissimo) nonostante i 23 punti percentuali di distacco con cui il partito di Orbán  aveva conquistato l’intero distretto. L'impresa insomma è possibile. Sabato si conteggiano i voti dei residenti che hanno votato altrove o all'estero.  Circa duemila preferenze per questo collegio - secondo i dati dell'Ufficio elettorale nazionale - che contemporaneamente potrebbero regalare il trentanovesimo seggio alla coalizione di sinistra e togliere la maggioranza dei due terzi (momentaneamente a quota 133) all’appena riconfermato premier Viktor Orbán. Il dato politico certo non cambierebbe. Orbán ha ottenuto una vittoria schiacciante. "Non hanno importanza i 2/3 - ha detto lunedì il premier alla stampa estera - ai fini della qualità dell'azione dell'esecutivo". Tutto invariato dunque.

Ágnes Kunhalmi, fonte: profilo ufficiale facebook

Tuttavia dobbiamo considerare due aspetti tutt’altro che marginali nel caso la spuntasse il centrosinistra. Orbán perderebbe una delle caratteristiche qualificanti la legislatura appena trascorsa, quella di disporre di una maggioranza cosiddetta costituente (alkotmányozó). In gioco poi non è solo la possibilità di modificare la carta costituzionale senza ricorrere necessariamente all'accordo con altre forze politiche, ma anche quella di legiferare in tutta una serie di materie (come tutela della famiglia e media) disciplinate dalle leggi organiche  che richiedono una maggioranza qualificata, dette per questo proprio “leggi dei due terzi” (kétharmados törvények). La competizione nel XVIII distretto ha in più una valenza molto simbolica in casa socialista. Il collegio era infatti riservato a Gábor Simon, l'ex-parlamentare e vice-presidente del partito - ora sottoposto a provvedimento di custodia cautelare - sul cui conto austriaco sono stati trovati milioni di euro non dichiarati. Il seggio eventualmente strappato al FIDESZ-KDNP sarebbe un successo personale di Ágnes Kunhalmi. Il credito politico della trentunenne candidata socialista, già nota al pubblico nazionale come esperta di istruzione per il suo partito, aumenterebbe in modo considerevole.

László Kucsák fonte: profilo ufficiale facebook

La Kunhalmi in realtà la sua elezione l’ha già vinta. Ha risparmiato alla sinistra il tracollo in un collegio che molti suoi colleghi avrebbero evitato. Ha accettato questa scomoda sostituzione in corsa ed è lì, ad una manciata di voti da un insperato sorpasso. La campagna è stata dura e “si è basata sulla mobilitazione”, come ha ricordato lei stessa più volte.  Il suo antagonista, il deputato dell’Assemblea nazionale László Kucsák, oltre a saper suonare chitarra elettrica e sassofono non è un avversario facile da battere. E’ il “detentore” del mandato parlamentare in questo stesso distretto, è cresciuto nel quartiere, è stato preside nelle scuole del quartiere. La sua presenza sul territorio non è mancata né nelle inaugurazioni né nelle iniziative in campo sociale.  Non sono mancati nemmeno gli scivoloni in verità, come la polemica sulle presunte lauree/non lauree possedute dalla candidata socialista, cui mancano per la cronaca solo gli esami di lingua. Un classico, quello del ricorso ai titoli di studio fasulli dei politici, il cui utilizzo denota tutta la difficoltà di Kucsák e quanto la partita sia ancora aperta. E l’effetto trascinante di Orbán potrebbe non essere stato sufficiente.

Sono anche altre le situazioni in cui lo spoglio dei voti dei residenti non votanti in loco potrebbe stravolgere il risultato di domenica scorsa ancora provvisorio. Si contano altri cinque collegi in altrettanti  distretti di Budapest oltre al collegio numero 2 di Miskolc e quello di Gyöngyös dove alle spalle del candidato del FIDESZ-KDNP c’è il leader dello Jobbik Gábor Vona. Quattro volte in testa la coalizione di sinistra, tre volte in testa l’alleanza di governo.Tutti casi in cui i divari tra primi e secondi vanno da un minimo di 253 ad un massimo di 759 preferenze. Tutti svantaggi che sabato possono essere recuperati sulla carta ma nulla di paragonabile ai 22 voti che separano Kunhalmi da Kucsák.  
A Pestszentlőrinc – Pestszentimre non c’è solo l’aeroporto. Si decide la maggioranza di Orbán.





sabato 5 aprile 2014

ELEZIONI IN UNGHERIA, FINE DELLA CORSA: TRE DOMANDE PER TIRARE LE SOMME


Fine della corsa. Si vota e i sondaggi li conosciamo. Li abbiamo riportati, li abbiamo letti. Se dovessimo attenerci ai dati statistici diremmo cose scontate. Proviamo invece a capire brevemente cosa è successo sinora e quali sono le aspettative, le vere incognite di questo voto primaverile. Proviamo ad ipotizzare alcuni scenari futuri che ad oggi sono ancora incerti a fronte dell’unica cosa che sembra certa: la riconferma di Viktor Orbán alla guida del governo.

PRIMA DOMANDA: sarà plebiscito? Di che maggioranza disporrà in parlamento? Semplice o dei due terzi? Le premesse del trionfo ci sono. Dei presidenti americani si dice che la (prima) elezione è per vincere, la rielezione è per entrare nella storia. Orbán la storia del paese la sta già scrivendo dal 1989. Prima come giovane protagonista della transizione pacifica alla democrazia, poi come primo ministro nel 1998 di un governo di coalizione. Altri tempi però. Ora a destra c’è solo lui. L’Ungheria ora è solo lui. Questa almeno è l’impressione. Questo il messaggio che ha puntato a far passare da quando è di nuovo al governo dal 2010. Complice il crollo elettorale dei socialisti. Ha plasmato la nuova Costituzione ungherese, ha varato un nuovo codice civile ed un nuovo codice penale. Ha affrancato il paese dal debito internazionale e i cittadini avranno bollette ancora più leggere grazie al programma di riduzione delle tariffe (rezsicsökkentés) che è ormai alla sua quarta fase. Si dice sia antieuropeo, antioccidentale, nazionalista.
Orbán è un realista. Riesce a difendere il senso di orgoglio nazionale - che in Ungheria è un sentimento bipartizan - con abilità. Non si sognerebbe mai di mettere in discussione l’appartenenza all’Unione europea o l’atlantismo proprio della membership NATO. Tuttavia si muove sfruttando tutto quello che le competenze nazionali gli consentono. E guarda a Est. Il recente accordo con Putin sul mega-finanziamento russo per il rinnovo degli impianti nucleari di Paks ne è la prova. Un capolavoro macchiato. La crisi ucraina rischia di rallentare tutto. Ma è questione di tempi non di morale e la morale si sa non è una categoria politica. Su queste basi la riconferma della maggioranza dei due terzi è solo questione di ore. Ciononostante il quadro idilliaco sinora esposto è sì una serie di dati di fatto ma di una serie di fatti altrettanto seri e non trascurabili. L’emigrazione giovanile è solo il corollario di un livello di disoccupazione insostenibile e di una soglia di povertà ancora troppo elevata rispetto a medie tollerabili. Il debito pubblico poi è associato ad una crescita economica eccessivamente bassa. Quanto basta insomma a costituire il vero vulnus di Orbán. Questi settori necessitano soluzioni nel breve e medio termine e ricette troppo autarchiche rischiano di peggiorare la situazione.

SECONDA DOMANDA: quanto è riuscita l’opposizione di sinistra a far capire che farebbe meglio di Orbàn? Riuscirà a mantenere l’unità in seguito ad una sconfitta? Contrastare la potenza di fuoco di un governo in carica alla ricerca della riconferma non è mai facile. E’ difficile se si parte da uno svantaggio numerico considerevole. E’ quasi impossibile se si aggiungono gli scandali sapientemente gestiti da un’informazione pubblica spesso non molto amica. Il tempo perso dal centrosinistra ungherese per organizzarsi è stato una sciagura. Quasi un anno di trattative, di colpi di scena, di scaramucce per arrivare a definire una coalizione ed un candidato, il giovane leader socialista Attila Mesterházy, in meno di una settimana. Ma forse a gennaio era ormai tardi. “Chi resta a casa vota Orbán” è stato uno degli slogan di questi ultimi giorni a sinistra. Ma quegli otto punti del programma - tra cui figura l’aumento a centomila fiorini (poco più di trecento euro) del salario minimo e il taglio delle liste d’attesa nel settore sanitario - non sembrano aver avuto un effetto trascinante. Troppo debole il messaggio.
Decisamente poco il tempo per allestire una piattaforma comune capace di catalizzare l’attenzione di quel “quasi un elettore su due” che secondo i sondaggi vorrebbe nonostante tutto il cambio di governo. Tanta buona volontà nella campagna dell’Unione (összefogás), condotta dai cinque partiti della coalizione con molta passione e originalità. Ma la doccia fredda in casa socialista arriva fin da subito. L’arresto del vice di Mesterházy, Gábor Simon, è un caso di denaro su conti esteri segreti, finanziamenti occulti e passaporti della Guinea Bissau. E ci è scappato anche il morto, il teste chiave. Insomma c’è tutto quello di cui la sinistra non aveva bisogno per smuovere dalle poltrone di casa gli indecisi. Il giovane Mesterházy probabilmente pagherà di persona la sconfitta. La scomposizione della coalizione è probabile. Improbabile, almeno per ora, il ritorno di Gyurcsány nei socialisti. Da tenere sott’occhio le mosse di Bajnai che non ha ancora ben digerito la mancata candidatura a primo ministro ma che ora potrebbe trasformare l’insuccesso elettorale in profitto politico per ricostruire. Tutto dipenderà dall’entità della sconfitta.

 TERZA DOMANDA: che farà lo Jobbik? Consolidamento al terzo posto o sorpasso ai socialisti? Gli occhi di tutti sono puntati sul partito di estrema destra di Gábor Vona. Mezza Europa aspetta di conoscere i numeri del partito che nel suo programma ha la castrazione chimica ed il ripristino della pena di morte. La riconferma di Orbán rischia di fare meno rumore di qualche punto percentuale in più dello Jobbik. Guardando ai risultati delle scorse elezioni nel 2010 le premesse che questo avvenga ci sono tutte. Quel terzo posto alle spalle dei socialisti con soli tre punti di svantaggio parla da solo. Da gennaio tutti i sondaggi registrano la crescita del partito e sui social network lo Jobbik vanta la comunità virtuale più attiva. Difficile che Vona diventi l’anti-Orbán. Intanto il giovane leader nazionalista raccoglie il voto dei giovani e il voto di protesta. Patria, terra e famiglia le parole più usate dai jobbikos. Ma la vera spinta per il  partito potrebbe venire proprio dall’esterno, proprio dall’Europa. Istanze antieuropeiste, autonomiste ed estremiste stanno riprendendo vigore un po’ in tutto il vecchio continente. Questo momento storico-politico può solo giovare allo Jobbik e il voto alle politiche ungheresi è solo una delle tappe. Da lunedì si riprende la campagna elettorale per un test altrettanto determinante e che ha una data precisa:  25 maggio, le elezioni europee. 



6 APRILE 2014, L’UNGHERIA VOTA (III): VADEMECUM PER LE ELEZIONI

In questo ultimo intervento pre-elettorale forniamo un approfondimento sul voto di domenica prossima in Ungheria anche perché rispetto alle ultime politiche del 2010 ci sono rilevanti novità sia in termini di aventi diritto al voto sia in termini di formula elettorale.

Le principali modifiche che verranno applicate ora per la prima volta sono intervenute in seguito all’approvazione della legge organica CCIII del  2011 “Sull’elezione dei deputati dell’Assemblea nazionale”, adottata ai sensi della nuova Costituzione. Tale legge introduce delle modifiche nel sistema elettorale precedente, senza peraltro snaturarne la formula, che rimane quella mista con un meccanismo tale da assegnare al primo partito un notevole premio (implicito) in seggi. Per l'articolo completo clicca qui






mercoledì 2 aprile 2014

6 APRILE 2014, L’ UNGHERIA VOTA (II): I SONDAGGI SUGLI UNGHERESI ALL’ESTERO E SUI SOCIAL NETWORK

Per la prima volta, alle elezioni del 6 aprile prossimo, i cittadini ungheresi residenti all’estero potranno esprimere il proprio voto. Riportiamo in questo nostro nuovo intervento una serie di sondaggi sugli orientamenti di voto di questi magiari cosiddetti transfrontalieri (határon túli). Pubblichiamo inoltre alcuni dati sulle preferenze di partiti e leader magiari sui social network, in particolar modo su facebook. Riportiamo anche un cenno ad uno studio effettuato sul comportamento degli utenti sui profili politici presenti in rete.

Per l'articolo completo leggi qui

Per una consultazione dei grafici dei sondaggi elettorali clicca qui





lunedì 31 marzo 2014

6 APRILE 2014, L'UNGHERIA VOTA (I):UNO SGUARDO AI SONDAGGI

Manca una settimana alle elezioni politiche ungheresi del 6 aprile. In questa cronaca presentiamo i dati delle principali società di rilevazione statistica magiare relativi agli orientamenti di voto dell’elettorato.

I rilievi fanno riferimento principalmente al bimestre gennaio-febbraio. Gli ultimi sondaggi – di questa settimana – confermano invece il quadro riportato di seguito e segnalano un considerevole vantaggio per l’alleanza di centrodestra Fidesz-KDNP attualmente al governo. Per la società Nézőpont l’Unione (Összefogás), che coalizza con il partito socialista MSZP diversi partiti di centrosinistra, avrebbe uno svantaggio di un milione di voti nei confronti della coalizione conservatrice che, secondo l’istituto Tárki, vanterebbe il doppio dei consensi dei suoi più diretti concorrenti. Se così fosse davvero potremmo dare per certo quello che i direttori delle società Ipsos e Medián, Tibor Závec e Endre Hann, ipotizzavano già una ventina di giorni fa sbilanciandosi nell’analisi dei dati di febbraio ossia la riconferma di una maggioranza dei due terzi per la coalizione diretta dal primo ministro Viktor Orbán.

Per fare una breve sintesi degli studi fatti sui primi due mesi dell’anno, c’è un accordo pressoché unanime su alcune oggettive tendenze: rafforzamento del Fidesz di Orbán, stabilità dell’Unione di sinistra guidata dal candidato-premier socialista Attila Mesterházy, progresso dell’estrema destra dello Jobbik di Gábor Vona. Con questi numeri entrerebbero in parlamento solo tre forze politiche, forse quattro con l’LMP (Lehet más a politika – La politica può essere diversa) che lotta per raggiungere la soglia di sbarramento del 5%. Il Fidesz conquisterebbe praticamente la quasi totalità dei 106 collegi uninominali. Segnaliamo infine una classifica di popolarità dei singoli leader politici stilata dalla Medián.

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lunedì 17 marzo 2014

NAPOLI RICORDA STEFANO TÜRR E LA GUERRA D’INDIPENDENZA UNGHERESE

E' inusuale imbattersi per le strade di Napoli in soldati magiari in alta uniforme. Non lo è se si guarda il calendario che data 14 marzo. E' la vigilia della festa nazionale ungherese in cui si rievoca la guerra d'indipendenza del 1848-49. 
A Napoli poi a Piazza Carolina, uno slargo quasi alle spalle di Piazza Plebiscito, sulla facciata laterale del palazzo della prefettura c'è una lapide in lega scolpita. L'iscrizione è bilingue e recita: "Stefano Türr, generale ungherese garibaldino, tenente generale reale, primo governatore di Napoli, 1860" (Türr István, garibaldista tábornok, királyi altábornágy, Napoly első kormányzója, 1860). Adesso è tutto più chiaro.
L'appuntamento per gli ungheresi è alle 15.30. Si depone una corona alla presenza del console onorario d'Ungheria a Napoli, prof. Andrea Amatucci, e del colonnello Antal Bárdos responsabile operativo della logistica presso il Comando Alleato Interforze della NATO. 
Tutto richiama il tricolore magiaro, la composizione floreale ai piedi della lapide, le coccarde sulle giacche, i nastrini sulle borse, persino i braccialetti e gli anelli delle signore.
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Per la galleria fotografica completa della celebrazione consulta questo link sul profilo facebook del blog.


sabato 15 marzo 2014

15 MARZO, FESTA NAZIONALE: IL RICORDO DELLA GUERRA D'INDIPENDENZA DEL 1848-49

Lajos Kossuth parla alla gente della grande pianura ungherese
Quest’anno, in occasione della festa nazionale che celebra la guerra d’indipendenza ungherese del 1848-49, soffermiamo la nostra attenzione sul protagonista politico di quei giorni storici, Lajos Kossuth. In particolare proponiamo stralci del discorso alla popolazione di Szeged pronunciato il 4 ottobre 1848. Szeged è solo una tappa di un percorso più ampio intrapreso da Kossuth,  una vera è propria campagna di reclutamento che porterà il politico magiaro in giro per la grande pianura ungherese (Alföld) tra fine settembre e inizio ottobre del 1848. Kossuth compie questo viaggio in veste di membro del Comitato di Difesa Nazionale (Országos Honvédelmi Bizottmány) cui verrà posto a capo quando di lì a poco (8 ottobre) l’organismo avrà funzioni di potere esecutivo. Alla base dei discorsi del politico riformista la promozione del sentimento nazionale e l’abolizione della servitù della gleba. Come è evidente dal testo proposto, l’oratoria di Kossuth è ricca di suggestione, patriottismo, trasporto emotivo.

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Avvicinandomi a Szeged iniziai a dolermi del fatto che non avessi più voce in petto: ma vedendo il popolo di Szeged ho sperimentato che non devo dolermene poiché qui non ne ho più bisogno, giacchè devo solo inchinarmi di fronte all’entusiasmo. (…)

Mikor Szegedhez közeledtem, sajnálni kezdém, hogy mellemből kifogyott a hang; de midőn Szeged népét látom, úgy látom, hogy nincs mit sajnálnom, mert itt többre nincs szükség, mint hogy a lelkesedés előtt mélyen meghajoljak.

(…)Ora che vedo il popolo di Szeged ed i raggi dell’entusiasmo nei suoi occhi, non mi attardo a scrivere alla capitale che il popolo di Szeged solennemente protesta contro ogni tipo di trattativa con i traditori. Posso scriverlo?

És most, miután Szeged népét látom, látom szemeiben a lelkesedés szikráit, nem késem megírni a fővárosba, hogy Szeged népe az árulóval való minden alkudozás ellen ünnepélyesen tiltakozik. Megírhatom-e ezt?

Sissignore, scrivo che dopo aver visto Szeged ed il suo popolo entusiasmati in migliaia dall’amore per la patria, si è rafforzata in me come una roccia la convinzione che questa patria sarà salvata anche se l’intrigo dovesse allearsi con l’inferno contro di lei.

Igenis, megírom, hogy miután Szegedet s népének ezreit a haza szerelmétől lelkesülve láttam, kőszirtté szilárdult keblemben a hit, hogy e haza, lépjen bár a pokollal szövetségre ellene az ármány, mentve lesz.

Così come Cristo ha stabilito la nazione celeste sulla terra dicendo ad uno solo dei suoi discepoli, “su questa pietra costruisco la mia chiesa” anche io allo stesso modo dico: io costruisco su Szeged e sul suo popolo entusiasta la libertà della mia nazione e le porte dell’inferno non prevarranno.

Krisztus mennyei országát megalapítandó a földön, egynek választottai közül azt mondá: e kőszálra építem én egyházamat; és én hasonlóan mondom, hogy Szegedre s ennek lelkes népére építem nemzetem szabadságát és a pokol kapui erőt nem vesznek azon.

Io considero il popolo talmente potente che se insorge e resta unito è capace di sostenere con le sue braccia forti la volta celeste che rovina scricchiolando. (…)

Oly hatalmasnak hiszem én a népet, hogy ha felkél és összetart, a ropogva összerogyó égboltozatait is képes fenntartani erős karjaival.

(…)Io giuro su Dio onnipotente, che protegge la giustizia e che punisce il traditore spergiuro, giuro fino all’ultima goccia di sangue che non permetterò che la mia patria venga derubata della sua libertà, giuro che proteggerò la nostra patria fino a quando sarò in grado di levare le braccia. Il Dio dei magiari mi aiuti e mi benedica! (…)

Én esküszöm a mindenható Istenre, ki védi az igazságot és a hitszegő árulót megbünteti, esküszöm, hogy hazánk szabadságából egy hajszálnyit utolsó csepp véremig elraboltatni nem engedek; esküszöm, hogy hazánkat védeni fogom, míg karomat felemelhetem. A magyarok Istene úgy segéljen és áldjon meg engemet!

(…) Gente di Szeged!La fratellanza ci unisce. Non esiste più né il nobile né l’ignobile: siamo figli e cittadini di una patria, siamo tutti fratelli. Dunque mantenendoci uniti come fratelli impugniamo le armi contro i traditori, teniamoci pronti a proteggere la nostra patria.(…)

Szegediek! Testvériség köt össze bennünket. Nincs nemes és nemtelen többé: egy hazának fiai, polgárai, testvérek vagyunk mindnyájan. Tehát testvérileg összetartva ragadjunk fegyvert az árulók ellen, legyünk készen hazánk oltalmára.

(…)Ma ora guardate. Non ho mai pianto e piango.

De most nézzétek - soha nem sírtam - és könnyezek.


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Anche quest’anno il governo ha organizzato un sito web ufficiale dove è possibile consultare il programma delle celebrazioni. (CLICCA QUI) Contestualmente all’alzabandiera ha luogo la consegna dei lavori di rifacimento di Kossuth Lajos tér, la piazza che circonda l’edificio del Parlamento.



giovedì 13 febbraio 2014

I GIUDICI UNGHERESI IGNORANO IL DIRITTO COMUNITARIO: LA CORTE SUPREMA PRESENTA UN RAPPORTO POCO IDILLIACO

La sede della Kúria a Budapest
Venerdì 7 febbraio scorso la Corte Suprema (Kúria) ungherese ha presentato in una conferenza stampa le conclusioni di due gruppi di lavoro che hanno analizzato il processo di redazione delle decisioni e il tema dei rapporti col diritto comunitario. In  particolare il titolo della relazione che ha riguardato quest’ultimo aspetto, esposta dal giudice della Kúria András Osztovitsz, è stato “L’adattamento al diritto dell’Unione Europea: le esperienze delle iniziative di procedura di rinvio pregiudiziale”. 
Per descrivere lo stato del rapporto tra diritto interno e diritto comunitario in Ungheria il giudice Osztrovitsz usa la figura del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. Ci sono eccellenze ma anche imperdonabili mancanze. In linea di massima i giudici magiari sono ancora lontani da una significativa e importante applicazione del diritto europeo nella giurisprudenza "domestica". 
C'è ancora molto da fare e tanto terreno da recuperare specie rispetto agli altri stati membri. 




domenica 2 febbraio 2014

CRONACHE COSTITUZIONALI. IL QUINTO EMENDAMENTO ALLA COSTITUZIONE UNGHERESE: UNA MODIFICA ALLA MODIFICA

La legge che per la quinta volta ritocca la Costituzione ungherese e che è in vigore dal primo ottobre scorso è stata considerata dallo stesso sottosegretario alla Giustizia Róbert Répássy ”una modifica parziale al quarto emendamento”.
Quest’ultimo aveva generato giudizi piuttosto critici in patria come all’estero al punto da far esprimere allo stesso Presidente della Commissione Europea le proprie preoccupazioni in una missiva al Primo ministro Viktor Orbán. Sul piano interno la fase delle dispute sulla nuova Costituzione è ormai considerata chiusa dal governo. Lo si riconosce chiaramente dopo che la Corte Costituzionale ha respinto – con la sentenza 12/2013. (V.24.) – un ricorso presentato dal mediatore dei diritti fondamentali volto ad annullare diverse disposizioni contenute nella quarta modifica. Pertanto  l’obiettivo del quinto emendamento – come si legge nelle motivazioni generali al testo del progetto  - è proprio quello di raggiungere una tregua anche nei dibattiti internazionali  tenendo in considerazione le valutazioni di Commissione Europea e Commissione di Venezia per evitare che ”singole questioni costituzionali possano costituire un pretesto per ulteriori attacchi all’Ungheria”.
Il quinto emendamento – approvato il 16 settembre scorso con 260 voti favorevoli, 41 contrari e 35 astensioni – è stato presentato in due versioni differenti.  Il primo progetto sottoposto all’aula nel mese di giugno, il T/11545, contemplava tra gli argomenti trattati la fusione dell’Agenzia statale di vigilanza finanziaria con la Banca Nazionale Ungherese, una nuova proposta per far fronte ad obblighi pecuniari imposti non previsti e la revoca della discrezionalità precedentemente accordata  al presidente dell’Ufficio nazionale della magistratura nel riassegnare i procedimenti in corso a corti diverse. Il secondo progetto, il T/12015, che sarà poi quello definitivo, è datato agosto 2013 e viene integrato alla luce delle nuove norme sullo stato giuridico delle comunità religiose nonchè dell’estensione della diffusione dei messaggi politici in campagna elettorale. Di seguito presentiamo in maniera schematica tutte le novità apportate da questo ultimo emendamento. Continua qui per l'articolo completo.




martedì 14 gennaio 2014

BOMBA O NON BOMBA. COME SI ARRIVA A LEHEL UTCA…E COME FERMARSI QUI

La filiale della CIB Bank di Lehel utca (foto mti)
L’esplosione che la notte scorsa ha sventrato una filiale della CIB (Gruppo Intesa San Paolo) nel cuore del XIII distretto di Budapest è un fatto grave. Lo diciamo subito in maniera chiara lasciando ciononastante tutto il tempo necessario di cui le autorità inquirenti hanno bisogno per accertare le responsabilità. Lo diciamo al termine di una giornata in cui si sono susseguite le notizie più disparate. Dal dilettantismo nella fabbricazione artigianale dell’ordigno delle prime ore siamo così passati  alla dichiarazione serale dell’esperto di sicurezza Georg Spöttle secondo il quale “si è trattato di un atto terroristico vero e proprio” compiuto da chi aveva “una grande conoscenza“ degli strumenti a disposizione.  Con i dati e le informazioni trapelate sinora sappiamo che sicuramente l’attentato è stato fatto per colpire cose e non persone. Al momento non ci sono rivendicazioni. Il gesto potrebbe essere anche isolato se non addirittura un fallito tentativo di rapina. Insomma è molto presto per fare conclusioni, ma siamo tuttavia in tempo per qualche considerazione.

Che si tratti o meno di un episodio singolo privo di qualunque nesso con una strategia ben più organizzata poco importa in questa fase. Il fatto che qualcuno abbia definito l’azione eroica non è solo perché l’attentatore prima dello scoppio avrebbe gentilmente fatto spostare dalla zona dei poveri homeless preservandone l’incolumità. Basta leggere qualche intervento facebook del movimento ”La mia casa non è in vendita” (Nem adom a házamat) per accorgersi che i sostenitori della bomba di Lehel utca non sono poi così pochi. Dai commenti poi sembrerebbe che sportelli e bancomat di altre banche siano segnati come obiettivi imminenti. Il citato movimento non nasce ieri e non è l’unico nel suo genere. 
Nella società ungherese degli ultimi anni alberga un generalizzato sentimento ostile agli istituti di credito. Pertanto l’episodio della filiale della CIB non è il classico fulmine a ciel sereno. Alla base di tutto c’è in buona sostanza l’annoso caso devizahitel  ossia quello dei debiti contratti in valuta estera - prevalentemente franco svizzero - da molti ungheresi  per l’acquisto della casa. Quello che appariva come un affare nei primi anni duemila, visti i tassi d’interesse bassi rispetto al credito offerto in valuta nazionale, si è rivelato agli occhi dei contraenti una truffa. 
Il sito web di Árpád Kásler fondatore di "La patria non è in vendita"
La crisi finanziaria del 2008 ed il quasi contestuale crollo del valore del fiorino rispetto al franco hanno infatti reso le rate impossibili. Da allora la questione è in continua evoluzione e vede in scena una molteplicità di attori: oltre alle banche ed agli “sfortunati” debitori (devizahitelesek), la magistratura ordinaria, la Corte Suprema e (a breve) la Corte di giustizia UE.  Delle 2500 cause (il dato è di novembre) intentate contro le banche, tra cui figurano anche le italiane Unicredit e CIB-Intesa-San Paolo, 60 sono quelle vinte dagli istituti di credito a fronte delle 6 perse a favore dei debitori. Quanto basta per capire il grado di malcontento che viene cavalcato da personaggi come Árpád Kásler che, rifiutandosi di pagare le rate del mutuo, per primo ha dato forma organizzata alla protesta fondando il movimento ”La patria non è in vendita” (A haza nem eladó) e che alle prossime elezioni correrà come partito politico.

Al sincero disagio e disappunto del consumatore, vittima c’è da dire anche di una imprevedibile contingenza, si sposa un altro sentimento molto comune specie nell’attuale establishment e che risente spesso  del mito dell’Ungheria “perenne colonia” defraudata dal capitale straniero.  Non è più vecchia di un mese la dichiarazione del presidente della Banca nazionale ungherese (MNB)  György Matolcsy che ha annunciato nella prima metá del 2014 l’uscita dal paese di quattro grandi gruppi bancari opportunamente rimpiazzati da istituti di piccola e media grandezza in mano magiara pronti ad acquisirne quote ed asset. Quasi a parafrasare le parole di Matolcsy un successivo editoriale del quotidiano filo-governativo Magyar Nemzet sottolinea l’importanza della “provenienza del capitale” e sostiene lo sforzo congiunto di esecutivo e MNB “nel crescere radicalmente la quota di proprietà magiara” nell’economia nazionale. Se poi a questo aggiungiamo l’enfasi posta sulla chiusura nel luglio scorso dell’ufficio (temporaneo) di Budapest del Fondo Monetario Internazionale, in seguito al pagamento dell’ultima tranche del debito dovuto all’istituto di Washington, sembra quasi che il quadro della lotta alle plutocrazie occidentali sia ultimato.

Perché dunque non si ripetano episodi di violenta intolleranza che potrebbero disgraziatamente avere anche effetti più gravi occorre evitare atteggiamenti inquisitori da caccia alle streghe. Il sistema bancario non è un cancro da combattere ed eliminare ma è elemento imprescindibile per garantire la sopravvivenza del sistema imprenditoriale di un paese. Ristabilire poi la fiducia dei malcapitati debitori in valuta estera è una priorità che il governo ha già fatto discretamente propria attraverso il varo di misure di appianamento dei debiti contratti dai singoli. Infine la legittima e condivisibile aspirazione del premier Viktor Orbán di dare sempre più peso alla specificità magiara all’interno di un’interdipendenza globale, di cui si subiscono anche pesanti svantaggi specie nella qualità della vita e nel reddito pro-capite, non deve mai dare l’impressione di sfociare in un gratuito quanto inutile sciovinismo. Per ristabilire un clima meno teso c’è bisogno del contributo di tutti. L’ormai imminente campagna elettorale vuole responsabilità non ordigni da disinnescare.