lunedì 23 novembre 2015

UNO SHYLOCK TUTTO UNGHERESE IN ITALIA:LA VICENDA DI UN EBREO VITTIMA DEL SUO PERSONAGGIO

György Hunyadkürti a Napoli
“In cosa differisce questa sera dalle altre sere?” chiede il membro più giovane della famiglia nella sera del seder, la cena in cui gli ebrei celebrando la Pasqua rievocano le persecuzioni del faraone e l’inizio dell’esodo dall’Egitto. La triste e amara attualità di questa domanda rivive in una delle battute di Tubal. Tubal è il protagonista di Shylock, lo spettacolo ideato sotto forma di monologo dall’attore e scrittore britannico Gareth Armstrong che è andato in scena in diverse città italiane nella prima decade di novembre. A portare sul palcoscenico questo monodramma è stata la compagnia ungherese del teatro Csiky Gergely di Kaposvár per la regia di Katalyn Kőváry. Nei panni di Tubal un’impeccabile György Hunyadkürti attore che l’Ungheria ha scoperto forse troppo tardi e che da un po’ di anni sta collezionando importanti riconoscimenti individuali. La tournée italiana è una definitiva consacrazione della sua carriera. Lo abbiamo conosciuto a Napoli per la prima nazionale di Shylock, fortemente voluto nel capoluogo partenopeo dall’Associazione culturale Maria d’Ungheria Regina di Napoli. Introverso, taciturno, schivo all’apparenza, dimostra nell’interpretazione un impeto, una profondità e una presa sul pubblico considerevoli, inattesi se si considera che il monodramma viene recitato in ungherese. Hunyadkürti è come lo ha descritto di recente la stampa magiara ovvero „uno che lavora sotto i riflettori ma che non vive sotto riflettori”. Dei premi ricevuti sembra disinteressarsi. „Sono del gruppo non miei” ribatte quasi infastidito al Consolato d’Ungheria a Napoli in conferenza stampa. „Tutti quelli che sono dietro alla realizzazione di un’opera sono importanti. Tutti gli elementi di una missione, anche gli spettatori”. 

Ringrazia tutti Hunyadkürti, anche quelli che “pur essendo in loro potere farlo, non hanno ostacolato la riuscita dello spettacolo”. Ad una domanda sullo stato dei rapporti tra il governo e la cultura in Ungheria risponde: “L’intellettuale deve essere un partner dialogante del potere. Cultura e politica abbiano sempre modo di conversare senza mai considerarsi né nemici né lecchini”. Ironia da vendere, saggio e lapidario nell’eloquio, quasi provato dal fisico, Hunyadkürti è perfetto per il suo personaggio: lui è Tubal. Lui è “un giudeo assai ricco” come viene presentato ne “Il mercante di Venezia” di Shakespeare di cui è praticamente solo una comparsa. Un ruolo minore, una sola scena la sua, sole otto battute scambiate con Shylock di cui è “amico, il suo migliore amico, l’unico amico”. Ma adesso è lui il protagonista, ha campo libero. Ora ha tutto il tempo per essere la voce narrante che fa conoscere a tutti il vero Shylock, i suoi limiti, le sue debolezze, la sua testardaggine, il dramma personale di una figura nata nella commedia shakespeariana anche per scatenare l’irrisione dello spettatore. Insieme a Shylock, ebreo dedito al prestito del denaro, rivive nel racconto appassionato di Tubal anche il contesto storico e geografico. La ricca Venezia crocevia del commercio internazionale dell’epoca. Multiculturale e tollerante, anche verso gli ebrei seppure fossero confinati in una zona ben definita e isolata della città: il ghetto. Racconta e spiega Tubal. Le otto righe della sua scena con Shylock sono il pretesto per viaggiare nel tempo.
 
Conferenza stampa di Hunyadkürti al Consolato Onorario d'Ungheria a Napoli

Tutta la trama della commedia di Shakespeare appare quasi secondaria, sicuramente parallela  allo sviluppo di un’altra vicenda, l’antisemitismo descritto attraverso aneddoti, storia e leggenda.  Se come ricorda Tubal, nei teatri “il pubblico godeva se poteva deriderci”, il suo pubblico adesso sorride un po’ meno e riflette di più. Allora si capisce che Hitler non è il primo uomo di stato ad aver praticato una “soluzione finale” come rimedio alla questione ebraica. Ci ha pensato Eduardo I sei secoli prima decretando l’espulsione degli ebrei dall’Inghilterra. Colpiti dalla legge, colpiti dalla spada. Nel 1190 tutti i giudei rifugiatisi nel castello di York vengono massacrati, anche quelli cui era stata promessa misericordia in caso di conversione al cattolicesimo. A Tubal, a Shylock  e ad altri ebrei come loro va meglio. Vivono e fanno affari con i cristiani, con tutti. Sono integrati nell’economia del loro tempo. Sono presenti e pure riconoscibili. Camminare nella Venezia del XVI secolo infatti è un po’ come farlo nella Germania nazista. Il pezzo di stoffa che serve a identificarli in pubblico è un contrassegno obbligatorio disposto dal Concilio lateranense di Innocenzo III. L’Europa cristiana distingue e marchia chi di fronte a Pilato ha scelto a gran voce Barabba. L’ebreo è condannato a non sentirsi mai legato al posto in cui risiede. L’ebreo non appartiene a nessun luogo. E’ l’ebreo errante. “Io me ne andrò da qui e troverò riposo, ma anche tu andrai via e non potrai avere riposo finchè io non sarò tornato”. La leggenda mette la maledizione proprio in bocca a Gesù quando sulla via della croce si vede negato il ristoro da uno sprezzante calzolaio di nome Assuero.

György Hunyadkürti a Napoli

Grazie a questi elementi della narrazione di Tubal tutto è più chiaro. Il risentimento, la diffidenza, il dispregio, in una parola l’odio che Shylock porta nei confronti del cristiano Antonio, che presta denaro senza applicare tassi d’interesse, va oltre la semplice disistima professionale. Shylock si ribella al suo stesso personaggio. E’ prigioniero del suo stesso ruolo. Un prototipo classico. L’ebreo, usuraio, malvagio per definizione, che può essere solo malvisto dalle platee. Shylock deve rispettare questo copione. Di conseguenza giudica la bontà di una persona in base alla sua solvibilità, esige una libbra della carne del suo debitore come pegno per il suo prestito e tiene più ai suoi averi della sua stessa figlia. Tubal sa tutto questo e prova a redimere l’amico di fronte allo spettatore anche quando al suo processo la stessa giustizia che lo vuole parte lesa lo trasforma in carnefice e degno solo della grazia che gli eviterebbe una sicura condanna a morte. Shylock esce sconfitto. Punito dalla legge e dal pubblico. Ma allo stesso tempo, adesso, grazie al suo unico amico, prevale su quanti sentenziano credendo di essere immacolati e sull’ottusità di quanti pensano che il male sia prerogativa di una minoranza. “Sono ebreo, - conclude Tubal - pensi che l’ebreo non abbia mani, organi, sentimenti, sensi o passioni? Come il cristiano non è lo stesso inverno che lo gela, la stessa estate che lo scalda? Se ci pungete non sanguiniamo? Se ci avvelenate non moriamo forse? E se ci disonorano non cerchiamo forse vendetta?” In Shylock perde il rancore, perde l’invidia, perde il male. Perde anche l’uguaglianza del genere umano.


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