lunedì 25 febbraio 2013

25 FEBBRAIO: GIORNATA NAZIONALE DEL RICORDO DELLE VITTIME DEL COMUNISMO

Deportazioni di civili ungheresi nel 1945 (Fonte:magyartragedia1945.hu)
“Non tollereremo più che ci capiti una cosa del genere”. Questa è la frase scelta dal Governo per le cerimonie di quest’anno in onore della Giornata del ricordo delle vittime del comunismo. Il 25 febbraio è la data scelta per questo memoriale nel 2000 dal Parlamento ungherese con la deliberazione 58/2000. (VI. 16.). La data non è ovviamente casuale e richiama il 25 febbraio del 1947, quando le autorità sovietiche, da poco stanziatesi in Ungheria in qualità di vincitori del secondo conflitto mondiale e di liberatori dal nazi-fascismo, arrestarono il segretario generale del Partito dei Piccoli Proprietari Bélá Kovács per deportarlo in Unione Sovietica. Il deputato illegittimamente privato delle immunità trascorse otto anni tra carcere e campi di lavoro. La vicenda di Kovács viene ricordata come il primo atto del regime determinato nella realizzazione di un sistema a partito unico attraverso la premeditata eliminazione degli avversari politici.

Il programma della giornata avrà come centro delle celebrazioni il civico 60 di Via Andrássy dove ha sede il Terror Háza Múzeum ossia il Museo della Casa del Terrore. Questo palazzo di tre piani costruito nel 1880 in stile neorinascimentale è passato alla storia ungherese con il triste attributo di casa degli orrori. Dal 1945 al 1956 il palazzo è infatti stato quartier generale della polizia politica (PRO) prima e delle Autorità di Sicurezza dello Stato (ÁVO e ÁVH) in seguito. Ivi passavano tutti gli oppositori del regime comunista, venivano interrogati, incarcerati, torturati anche fino alla morte. Nelle cantine della “Casa del terrore” era stato creato un sistema labirintico di prigioni integrato con le cantine dei palazzi adiacenti. Queste sono le parole  che il politologo statunitense di origini polacche, nonché Consigliere per la Sicurezza Nazionale della presidenza Carter, Zbigniew Brzezinski ha dedicato a quella che può essere definita la Lubjanka magiara  quando nel 2002 fu riaperta al pubblico come museo: “L’apertura del Museo della Casa del Terrore è una pietra miliare storica. Il museo è stato creato affinché ricordi per sempre quella che è stata a una malvagità istituzionalizzata di proporzioni mai sperimentate prima dall’umanità”.

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Di seguito uno stralcio del comunicato del Governo in occasione della Giornata della memoria di quest’anno la cui programmazione (clicca qui per consultare il programma ufficiale) prevede due appuntamenti in cui è prevista l’accensione di candele presso il Museo in via Andrássy, che resterà aperto tutto il giorno con ingresso gratuito, e dalle ore 19.00 davanti al monumento alle vittime del comunismo nei pressi del Ponte delle Catene (lato Buda).

“Le stime parlano di 100 milioni di vittime delle dittature comuniste nel mondo. In Europa Orientale la cifra arriva al milione. Questi sono i numeri di quanti hanno perso la loro vita per fame, in campi di lavoro forzato o per morte atroce. Il numero delle vittime può aumentare notevolmente se si considerano le persone ferite quotidianamente dalla dittatura nel fisico e nello spirito. In questo giorno ci ricordiamo di tutti coloro che sono diventati vittime di un sistema violento, e i cui parenti e cari sono stati rapiti e perseguitati. In questo giorno ci possiamo ricordare a testa alta di come facciamo rivivere le colpe di un regime scomparso che la tenacia e l’inestinguibile desiderio di libertà ha sepolto per sempre”. 

(Fonte: kormany.hu)

sabato 23 febbraio 2013

"VA MEGLIO MA NON E' ABBASTANZA" IL DISCORSO SULLO STATO DELLA NAZIONE DI VIKTOR ORBÁN



Si è tenuto ieri presso il Millenaris Teatrum di Budapest il tradizionale évértékelő beszéd,(per la galleria fotografica clicca qui) il discorso sullo stato della nazione, una sorta di bilancio dell’anno trascorso, il quindicesimo per il primo ministro Viktor Orbán. Il primo discorso risale al 1999 e da allora Orbán ha annualmente onorato l’appuntamento - promosso dall’ Associazione Ungherese per la Cooperazione Civica - anche solo in veste di presidente del FIDESZ. Questo discorso, come ha ricordato il ministro delle risorse umane Zoltán Balog in veste di presidente dell’ Associazione e di padrone di casa, non è solo una “questione di politica, di economia, di sfide quotidiane, di benessere, di Stato, di cultura ma una questione personale”.  Per chi governa e amministra la cosa pubblica è una “questione di reputazione personale interrogarsi su che paese lascia alle generazioni future”. Questo è il contesto in cui il primo ministro prende la parola.

“Nel 2010” - anno della vittoria alle ultime elezioni politiche - “è iniziata una nuova era” - ha orgogliosamente sottolineato Orbán. Il popolo ungherese dopo decenni di sottomissione a potenze straniere “ha preso in mano il proprio destino”. Il popolo ha riconosciuto che la soluzione non è il “continuo allineamento, il deferente adattamento, l’ereditaria rincorsa alla conformità” in altre parole la “debolezza” e nel 2010 ha creato “l’unica maggioranza parlamentare di 2/3 in Europa”. “Da allora” - ha continuato il primo ministro -  “abbiamo realizzato tutto quello che ci hanno rinfacciato essere impossibile. Gli ungheresi non lavorano più al servizio degli stranieri né tantomeno sono i banchieri e i burocrati stranieri che devono dirci che tipo di Costituzione possiamo darci o quando e come dobbiamo aumentare i  nostri stipendi e le nostre pensioni”.

La frase più ricorrente in un discorso ricco di metafore, di riferimenti storici, di patriottismo e di speranze è quella che forse meglio racchiude il senso della realtà dei fatti:  “l’Ungheria si muove meglio che nel passato ma non ancora abbastanza.” Ricca è  la rassegna dei successi conseguiti. In Ungheria “la gestione della crisi è più efficace rispetto agli altri paesi europei”. Il paese è performante “nel rendere più facile la vita quotidiana delle persone, nelle politiche di sostegno alle famiglie, in materia di pensioni, nel rispetto della dignità del lavoro, nella crescita delle forze di polizia - che contano 3500 unità in più da quando è in carica il nuovo governo – e nel taglio delle spese inutili ”.  Sul fronte della sanità novantamila dipendenti hanno visto i propri stipendi maggiorati e sono in corso ben 439 investimenti nel settore. Ma il più grande successo a detta del primo ministro sono i risultati conseguiti nel campo dell’integrazione sociale. In particolare  ha ricordato, con visibile soddisfazione, che dei 261 mila che hanno preso parte a programmi governativi di inserimento nel mondo del lavoro ben 54.750 sono rom. Secondo Orbán i dati dell’anno appena trascorso dimostrano “che  gli ungheresi non hanno lavorato invano”. Ciononostante  ci sono ancora molte cose da fare. Per questo motivo continuerà l’azione del governo in difesa dei posti di lavoro e  saranno varati programmi specifici per chi vive solo di stipendio.

Il primo ministro ha catalogato il ventennio intercorso tra il 1990 ed il 2010 come un periodo di transizione e per questo di incertezze in cui “ci siamo curati di liquidare il passato senza costruire il futuro e ora la cosa più importante è avere una chiara visione dei prossimi venti anni. ” Orbán fissa quindi senza indugio e  con estrema chiarezza quelli che sono obiettivi di lunghissimo termine, gli obiettivi del ventennio venturo: la fine della dipendenza finanziaria ed energetica, l’ affrancamento dal debito estero, la riduzione del calo delle nascite, la piena occupazione per chi ha scelto di realizzarsi in Ungheria, l’ingresso dell’economia ungherese nelle prime 30 economie più competitive, l’apporto di non più di 15-20 multinazionali ungheresi nel rafforzamento della posizione del paese nell’economia globale, il debito pubblico entro la soglia del 50% del PIL, il novero di sempre più università ungheresi tra le prime 200 del mondo e la qualità della vita ungherese superiore alla media europea.

Con una nota di sarcasmo verso le poco rosee previsioni dell’ Unione Europea sulla situazione ungherese, Orbán ha confermato che il rapporto deficit-PIL sarà sotto il 3% già a partire dall’anno in corso e che non deve essere  trascurato il fatto che l’Ungheria nel 2012 ha tenuto sotto controllo le sue finanze riducendo il suo debito pubblico, caso unico quello ungherese - ha ricordato il capo del governo - insieme a soli altri quattro paesi membri. Nel discorso si registra anche una critica ai socialisti colpevoli, negli anni in cui hanno governato, di aver dato un calcio ad un patto storico. Nel 1989, secondo Orbán, è stato sottoscritto infatti un patto storico: l’Ungheria non avrebbe più ripetuto gli errori dell’era Kádár pagando le proprie spese sociali attraverso il credito estero. “Noi” – ha ribadito – “a costo di impoverirci non finanzieremo né le spese del welfare,  né i nostri sussidi, né gli aumenti senza copertura necessaria dei salari con il credito estero”.

Il pensiero di Orbán va infine ai giovani. Il compito del governo è di dare il suo contributo perché l’Ungheria diventi un posto dove si può costruire il proprio futuro con “lavoro duro e responsabile indipendentemente dalle origini”. “Per questo” - ha concluso il primo ministro - “è normale il desiderio di vedere in mezzo a noi almeno per un certo periodo i nostri giovani capaci e tecnicamente formati grazie ai soldi del contribuente ungherese. Per questo è importante che i nostri figli investano qui nei loro studi perché solo in questo modo potranno trasmettere ai loro figli, i nostri nipoti, quell’esperienza che a loro volta hanno avuto da noi”.
La chiusura del discorso è il consueto motto “Hajrá, Magyarország, hajrá, magyarok!” Forza Ungheria! Forza Ungheresi!   

(Fonti: hirado.hu/orbanviktor.hu)

giovedì 14 febbraio 2013

DIMISSIONI DI BENEDETTO XVI: IL MESSAGGIO DEL PRIMATE (PAPABILE) DELLA CHIESA UNGHERESE




Il capo della Chiesa ungherese, il cardinale Péter Erdő, ha commentato subito la notizia delle dimissioni del Santo Padre Benedetto XVI nell'omelia pronunciata nella cappella dell'Istituto Oncologico di Budapest in occasione di una messa celebrata per la Giornata Mondiale del Malato. Il gesto del Papa, fatto proprio in questo giorno particolare, dimostra - afferma il porporato -  come “un uomo maturo e adulto è capace di guardare in faccia alla vecchiaia, alla malattia e alla morte e non dimentica la prova”.

Ricordiamo che non sono pochi gli addetti ai lavori e gli analisti ad indicare il porporato - l'unico a rappresentare l'Ungheria nel Conclave che si aprirà a metà marzo - come uno dei papabili. E' proprio di ieri il rimando fatto dall'edizione online del Magyar Nemzet ad un portale di informazioni in lingua inglese sugli affari italiani che in un articolo segnala il cardinale Erdő tra i favoriti.
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Di seguito riportiamo il testo tradotto del messaggio del Cardinale all’Arcidiocesi di Esztergom-Budapest e a suoi sacerdoti.

Reverendissimi confratelli! Cari fratelli!
Appresa la notizia delle dimissioni del nostro Santo Padre Benedetto XVI, effettive a partire dal 28 febbraio, ringraziamo la Divina Provvidenza per tutte le grazie e i doni che la Chiesa e l’umanità ha ricevuto dal ministero apostolico di Papa Benedetto XVI. Con particolare affetto ricordiamo la magnanima benevolenza dimostrata nei confronti della nostra Chiesa e della nostra Patria di cui la beatificazione dei nostri santi martiri è stata uno degli eminenti segni. Chiediamo a Dio Onnipotente la benedizione per Papa Benedetto, per la Chiesa di Roma e per tutta la nostra Chiesa Cattolica. Affidiamo il nostro Santo Padre e la nostra Chiesa all’amorevole intercessione della Beata Vergine Maria madre della Chiesa, ai Santi Apostoli Pietro e Paolo, e a San Giuseppe suo santo protettore.
Budapest, 11 febbraio 2013 nel memoriale della Beata Vergine Maria di Lourdes
(fonte: Conferenza Episcopale Ungherese)

LE DIMISSIONI DI BENEDETTO XVI NEI MEDIA UNGHERESI



Új időszámítás kezdődik “, inizia una nuova era. Queste sono le parole con cui il portale dell’informazione pubblica hirado.hu apre la cronaca dettagliata sulle dimissioni di Benedetto XVI dal soglio pontificio, un fatto la cui portata storica non ha che un solo precedente in epoca medioevale. A tal proposito il Magyar Hírlap pone il problema dell’assenza di una qualsiasi regolamentazione della fattispecie, spiegabile con la natura gerarchica della carica papale,  e prefigura persino il rischio di uno scisma all’interno della Chiesa visto che c’è chi potrebbe considerare la figura del Papa come tale in eterno. 

Mons. Kovács Gergely, capo dell’Ufficio dello Staff del Pontificio Consiglio della Cultura, intervistato dal Magyar Nemzet oltre a ricordare come Benedetto XVI  avesse già in un certo senso anticipato la possibilità delle dimissioni in interviste e discorsi passati, rassicura sul fatto che non ci sarà nessuna differenza con i precedenti conclavi e che si svolgerà tutto come se il Papa fosse morto. E’ possibile, continua Mons. Gergely, che il nuovo Papa possa insediarsi già per le festività pasquali. 

Sulla possibilità di poter vedere la fumata bianca in tempi rapidi, addirittura già nei primi di marzo, concorda anche Padre Csaba Török corrispondente della Radio Vaticana che, sempre al Magyar Nemzet, ritorna sulla non impossibile prevedibilità del gesto di Benedetto XVI il quale - per quanto inusuale possa sembrare un Conclave di fatto convocato da un Papa vivente - ha scelto consapevolmente anche la tempistica. Infatti, secondo Padre Csaba, febbraio è anche un mese spesso dedicato ai concistori specie per la non casuale vicinanza con il 22, giorno in cui i cardinali sono chiamati a Roma per celebrare la solennità della Cattedra di San Pietro. Padre Csaba torna anche sul gesto delle dimissioni che non sarebbero assolutamente influenzate da nessuno né tantomeno dalla forte immagine di Giovanni Paolo II, Papa anche nella sofferenza e nel letto di morte. 

A lasciare il suo contributo sul quotidiano conservatore c’è anche László Németh ex segretario della Conferenza Episcopale Ungherese (MKPK), ora vescovo della diocesi di Nagybecskerek. In un mondo in cui in più contesti  “tutti sono attaccati al potere fino all’ultimo respiro, c’è ”-  dice il prelato - ” un uomo capace di farsi da parte quando sente che il fisico rappresenta per lui un limite sempre maggiore nell’esercizio del servizio petrino”. Allo stesso modo Mons. Németh ricorda come durante il sinodo episcopale dello scorso autunno Benedetto XVI partendo da una citazione sia stato in grado di parlare a braccio e senza appunti per circa un’ora con frasi “belle e sagge”. A tal proposito la redazione del Népszava ricorda come Joseph Ratzinger sia anche principalmente un erudito che ha passato i suoi anni migliori a Ratisbona insegnando teologia dogmatica, vivendo solo per i suoi studi anche da Papa, lui che con la sua straordinaria cultura parla correntemente l’italiano, l’inglese, lo spagnolo, oltre che ovviamente il latino e il greco antico. Il Népszava non tralascia gli scandali - Vatileaks e pedofilia dei preti su tutti - che hanno interessato la Chiesa sotto il suo pontificato e che sarebbero, secondo il quotidiano, tra le cause principali della “rinuncia” papale.
  
A pensarla così è anche András Máté-Tóth, teologo già preside della facoltà di Scienze Religiose presso l’università di Szeged, intervistato dal Népszabadság. Secondo il teologo, “la decisione del Papa non è dettata esclusivamente da un indebolimento dello stato di salute e tuttavia negli ultimi tempi molti erano i segni che lasciavano presagire al ritiro in un isolamento di teologia e preghiera”.  Máté-Tóth fa notare come tutto sommato fin dall’inizio del pontificato era chiaro che non sarebbe stato Benedetto XVI ma il suo successore ad imprimere una svolta significativa nella vita della Chiesa. Lo studioso affronta quindi il tema della successione sottolineando come “è sempre più difficile giustificare la scelta di un Papa europeo” specie in un contesto mondiale in cui ”il centro gravitazionale della Chiesa si è spostato negli ultimi decenni sull’Africa e sull’America Latina”. Un Papa venuto da questi continenti sarebbe comunque un unicum anch’esso considerando che è sempre stata l’Europa a dare i natali  ai successori di San Pietro.  Con un Papa extraeuropeo poi  si avrebbe tanto il rinvigorimento del dialogo tra le chiese cristiane quanto il ritorno in agenda di  temi come il celibato dei preti e tuttavia - conclude Máté-Tóth - nemmeno questo potrebbe bastare per una definitiva apertura liberale della Chiesa cattolica.  

La stampa ungherese non è da meno nell’esercizio del totonomine Oltretevere. I nomi che si fanno sono un po’ gli stessi  e vanno dal nigeriano Arinze, al canadese Ouellet, all’ ex patriarca di Venezia e ora arcivescovo di Milano Scola. La vera notizia è che tra i papabili c’è anche il primate d’Ungheria, ossia il cardinale Péter Erdő (61 anni a  giugno) ormai al suo secondo conclave e per la seconda volta tra i più giovani dell’organo elettore.  In realtà fonti autorevoli come l’agenzia di stampa austriaca APA, Newsweek – in un suo studio di qualche anno fa – e persino il colosso dei bookmaker britannici William Hill segnalano il cardinale ungherese, che presiede peraltro il Consiglio delle Conferenze Episcopali europee, saldamente tra i primi dieci porporati con maggiori possibilità di elezione.   Intanto la Chiesa ungherese si organizza nella preghiera anche comunitaria come è successo a Székesfehérvár , come riporta il portale cattolico Magyar Kurír, dove i fedeli si sono riuniti per  un Te Deum di ringraziamento per l’operato di Benedetto XVI.

domenica 10 febbraio 2013

PASSATO E PRESENTE: SCONTRO E CONFRONTO PER LE STRADE DI BUDAPEST

Con una legge cosiddetta cardinale (sarkalatos törvény) approvata lo scorso novembre dall'Assemblea Nazionale sono state disposte delle modifiche ad una serie di norme, in particolare quelle sulle società, sui media, sulle associazioni e sulle amministrazioni locali. Viene imposto il divieto ad ogni riferimento a nomi che possano richiamare i regimi dittatoriali del XX secolo. La legge, nella sua parte relativa alle amministrazioni locali, è stata uno spunto utile per descrivere come anche la toponomastica - in questo caso quella di Budapest - sia soggetta all'intervento del potere politico nel suo tentativo di lasciare una sua visibile impronta nella storia.
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