sabato 27 aprile 2013

IN EUROPA CRESCE L'ATTENZIONE SULL'UNGHERIA. VIKTOR ORBÁN RASSICURA E AMMONISCE."NO AL DOPPIO STANDARD DI GIUDIZIO"

Orbán Viktor incontra i parlamentari del PPE
Orbán Viktor ha preso parte a Strasburgo la sera del 16 aprile ad una riunione del gruppo parlamentare del Partito Popolare Europeo (PPE) presieduta dal capogruppo Joseph Daul. In quella sede il Primo Ministro ha risposto alle domande degli eurodeputati sulla situazione ungherese. “E’ stata cosa buona oggi essere ungherese in questo contesto” ha dichiarato Orbán ai giornalisti dopo l’audizione al PPE. “Durante l’incontro sono emerse questioni concrete perché sono molte le circostanze difficilmente comprensibili ed i frequenti fraintendimenti nella stampa internazionale”. Il politico ungherese ha definito sciocchezze alcune posizioni sulla presunta criminalizzazione dei senza-fissa-dimora, sull’indipendenza del potere giudiziario messa in pericolo e secondo le quali la Corte Costituzionale non potrebbe esaminare le leggi cosiddette “dei due terzi”, ricordando che nella Legge Fondamentale sono contenuti elementi già conosciuti nella prassi degli altri paesi. Orbán Viktor è parte integrante del PPE , figura tra i suoi leader di punta  - considerando che attualmente è anche un capo di governo - e ne è stato vice-presidente per ben tre volte. “Nel Partito Popolare siedono i nostri amici - ha detto alla stampa ungherese – quei parlamentari appartengono alla nostra famiglia politica e lo scopo di questa discussione è stato quello di sincronizzare gli orologi”. Il Primo Ministro ha sottolineato come durante il dibattito, da lui definito amichevole, siano state poste domande prevalentemente di natura giuridica e che nessuna di esse abbia attaccato la costituzione ungherese. A suscitare maggiori preoccupazioni sono state piuttosto le questioni relative al particolare trattamento fiscale delle società straniere operanti in Ungheria e alla campagna del governo a favore dell’abbattimento delle spese delle famiglie (rezsicsökkentés), temi che ovviamente stanno a cuore ad eurodeputati che hanno la stessa nazionalità delle imprese coinvolte. Il peso dell’elemento economico nella ondata di discredito proveniente spesso da una parte della stampa internazionale non è ritenuto per nulla secondario dal governo magiaro. In una recente intervista al quotidiano Népszabadsag il responsabile del governo per le comunicazioni internazionali Ferenc Kumin, interpellato sulla natura delle critiche a Orbán espresse dal cancelliere Angela Merkel, ha fatto notare come ad esempio “a buttare benzina sul fuoco siano anche le aziende tedesche del settore energetico e delle telecomunicazioni che nel vedere i propri interessi intaccati contribuiscono a creare in una parte influente del pubblico tedesco un’immagine di noi particolarmente distorta”.   Orbán ha infine congedato i giornalisti confermando che non avrebbe preso parte l’indomani (mercoledì 17 n.d.r.)  al dibattito sull’Ungheria al Parlamento Europeo non solo perché in partenza per i coincidenti funerali di Margaret Thatcher ma perché esso era già stato calendarizzato da tempo. Il leader del FIDESZ ha però garantito la sua presenza a Strasburgo per fine giugno inizio luglio quando si discuterà probabilmente delle conclusioni dei lavori della Commissione libertà civili, giustizia e affari interni (LIBE) del Parlamento Europeo sul rapporto Tavares. Inoltre restano da ultimare anche le valutazioni tecniche in punta di diritto della Commissione Europea. 
Alla vigilia del dibattito di Strasburgo l’eurodeputato del FIDESZ József Szájer ha auspicato “che si discuta su fatti concreti  con la possibilità di confrontare le esperienze”. “Non è corretto - ha continuato il politico ungherese - che con l’Ungheria si adotti un doppio standard di giudizio” così come è altresì “moralmente nonché politicamente inaccettabile che nei suoi confronti si creino delle aspettative che magari non valgono parimenti per altri paesi membri dell’ Unione”.
Viviane Reding al dibattito sull'Ungheria

Il concetto di garanzia di imparzialità e oggettività delle valutazioni legali della Commissione è stato confermato in sede di seduta plenaria dal Vice-Presidente Viviane Reding (nella foto) che però ha espresso le sue preoccupazioni  su tre punti specifici riguardanti le modifiche della Costituzione (leggi a proposito un passato articolo sul blog): una clausola che introdurrebbe una tassa ad hoc per i cittadini ungheresi e che servirebbe a pagare eventuali sanzioni dell'UE, il trasferimento di casi da una corte di giustizia all'altra e il divieto di fare campagna elettorale nei media. La Reding ha tuttavia assicurato che non si aspetterebbe la fine di giugno nel caso si ravvisassero gli estremi per iniziare una procedura di infrazione.  Ad intervenire anche il ministro irlandese agli Affari europei Lucinda Creighton a nome della presidenza di turno del Consiglio ribadendo che la situazione ungherese sarà discussa dalla Commissione in quanto unico organo garante dei trattati e responsabile della conformità ad essi delle legislazioni dei singoli stati. La discussione all’europarlamento, dal titolo “L’Ungheria e lo stato di diritto” ha in seguito risentito della contiguità politica con il partito di Orbán dei deputati che hanno preso la parola.  Profondamente critici Guy Verhofstadt leader del gruppo liberale ALDE - tra i promotori del dibattito - che ha paventato la possibilità del ricorso all’articolo 7 del Trattato sull’Unione Europea, che prevede in casi di violazioni gravi e persistenti anche la sospensione del diritto di voto in seno al Consiglio, e la socialista Hannes Swoboda che è andata oltre sino a citare episodi di anti-semitismo magiaro. Più indulgenti le posizioni di chi, come il popolare Frank Engel, ha rilevato la sterilità del dibattito, e del polacco Zbigniew Ziobro, conservatore dell’EFD, che nel suo intervento ha proposto di verificare il rispetto dei principi dell’UE negli altri stati membri invitando a non trattare l’Ungheria come il capro espiatorio di turno.

Intanto mercoledì e giovedì scorso la Commissione di monitoraggio del Consiglio d’Europa ha votato due volte, nella forma e nel merito, la richiesta di inserimento nell’ordine del giorno dell’Assemblea parlamentare dell’apertura di una procedura nei confronti dell’Ungheria. Il voto ha restituito il quadro di una Commissione spaccata. La conservatrice Jana Fischerová ad esempio, pur non negando la sua adesione al documento comune sull’Ungheria si è dimessa dalla carica di co-relatore della mozione perché da lei definita troppo “parziale e viziata dal pregiudizio”.  Il parere scritto della Commissione, approvato con una maggioranza di 21 a 20,  impegna ora l’ufficio dell’Assemblea che dovrà pronunciarsi sull’apertura di una procedura cosiddetta di controllo. In caso di risposta affermativa il testo del parere verrà sottoposto all’aula nella sessione di giugno. Secondo il documento  della Commissione, (consultabile integralmente qui) che racchiude le conclusioni di circa due anni di lavori sulla situazione magiara, compresa una lunga serie di viaggi dei suoi emissari in Ungheria,  “desta preoccupazione l’erosione del sistema democratico di checks-and-balances“. Seri dubbi anche sulla capacità dell’Ungheria ”di rispettare gli impegni presi al momento della sua adesione al Consiglio d’Europa in fatto di democrazia, diritti umani e stato di diritto”.  Sotto accusa in particolare il modo definito “frettoloso e opaco” con cui vengono approvate le leggi cardinali definite quasi uno strumento di cui la maggioranza di governo si servirebbe per aggirare  la Corte Costituzionale. Venisse approvata, sarebbe la prima volta di una procedura di controllo nei confronti di un paese dell’UE, laddove in passato erano stati “monitorati” solo paesi balcanici ed ex membri dell’URSS.

Fonti: nol.hu,europarl.europa.eu,hirado.hu,orbanviktor.hu,assembly.coe.int

martedì 16 aprile 2013

16 APRILE, SI RICORDANO GLI EBREI UNGHERESI VITTIME DELL’OLOCAUSTO. STORIA E MEMORIA

Il 16 aprile è il Giorno della Memoria delle vittime ungheresi dell’Olocausto. La data, che non corrisponde con la giornata della memoria che viene celebrata a livello internazionale  il 27 gennaio sulla base della risoluzione ONU 60/7 del 2005, è stata decisa nel 2000 dall’Assemblea Nazionale ungherese sotto il primo governo Orbán. Il 16 aprile 1944 incominciava la ghettizzazione degli ebrei ungheresi nella regione della Transcarpazia (o Rutenia subcarpatica, in magiaro Kárpátalja). A partire da quella data 400.000 di essi conobbero l’esperienza dei campi di concentramento e delle deportazioni dall’Ungheria verso i campi di Auschwitz-Birkenau. In seguito il regime nazionalsocialista di Hitler avrebbe puntato anche all’annientamento di altri gruppi sociali quali rom, omosessuali e disabili.

L’Ungheria viene invasa dalle truppe tedesce nel marzo del 1944 e con esse è operativa anche l’unità speciale del Sondereinsatzkommando (SEK) che sotto la guida diretta di Adolf Eichmann, l’allora direttore del Dipartimento per gli affari ebrei all’interno dell’ Ufficio centrale di sicurezza del Reich, si occupa della “degiudeizzazione” del paese. Sotto la pressione nazista il reggente d’Ungheria, l’ammiraglio Miklós Horthy, rimpiazza alla guida del governo un riluttante Miklós Kállay con il filo-tedesco Döme Sztójay. Il governo Sztójay si rende subito protagonista dell’approvazione di tutta una serie di decreti discriminatori nei confronti degli ebrei ungheresi volti ad isolarli e a separarli materialmente dalla società cristiana. Ad 825.000 ungheresi viene fatto così divieto di lasciare il territorio nazionale nonché le proprie zone di residenza, essi devono lasciare i posti di lavoro e i loro beni sono sequestrati. Viene imposto poi il “marchio” classico della stella di Davide gialla.

La prassi è insomma quella comune a tutte le legislazioni anti-giudaiche adottate nei paesi alleati in maniera più o meno volontaria del regime hitleriano. “Il reale governo ungherese dovrà ripulire il paese dagli ebrei in poco tempo”. Queste le parole contenute in uno dei decreti emanati dal segretario di stato del Ministero dell’Interno László Baky e che sono probabilmente il primo atto della deportazione che inizia nella provincia magiara ed in particolare nelle aree settentrionali ed orientali, la Transcarpazia,  l’Alta Ungheria (Felvidék) e il nord della Transilvania. Tra la metà del mese di aprile e i primi di luglio del 1944 le operazioni di raccolta in ghetti sono pressocchè completate in tutto il paese, in ultimo a Budapest. 437.000 ebrei vengono in questo modo “ammassati” e costretti alla sofferenza e a condizioni di vita disumane. Ha così inizio sin dalla metà di maggio la seconda fase del genocidio, quella cioè della deportazione. Si calcola, secondo dati ufficiali dell’epoca, che tra il 15 maggio ed il 7 giugno le deportazioni proseguono dai distretti magiari VIII-X (secondo la nuova divisione amministrativa nazista) al ritmo di quattro treni al giorno (92 totali nell’intero periodo) . Ogni treno consta di 45 vagoni con una capienza di 70 uomini ciascuno. All’arrivo ai campi di concentramento gli ebrei vengono poi smistati ai campi di lavoro oppure direttamente alle camere a gas se cagionevoli o malati. Nel luglio 1944 in Ungheria restano solo gli ebrei di Budapest e quelli occupati nei lavori forzati.

La situazione interna risente presto dei rivolgimenti internazionali che registrano per Hitler sempre maggiori difficoltà belliche, un montante risentimento dell’opinione pubblica mondiale per i massacri perpetrati ad Auschwitz  e l’uscita dall’alleanza con l’Asse della Romania che dichiara subito guerra alla Germania. A quel punto Miklós Horthy ferma le deportazioni  e sfiducia il governo Sztójay. Compito principale del capo del nuovo esecutivo, il generale Géza Lakatos, sarà quello di studiare l’uscita dell’Ungheria  dall’alleanza con la Germania magari con la firma di un armistizio separato con l’Unione Sovietica.  A quel punto i tedeschi prendono direttamente l’iniziativa deponendo il reggente d’Ungheria Horthy  e costituendo il 15 ottobre del 1944 un governo fantoccio guidato da Ferenc Szálasi, leader del Partito della Croce frecciata (Nyilas Keresztes Párt) di ispirazione nazista. Le deportazioni riprendono e interessano particolarmente Budapest da dove almeno 50.000 ebrei  vengono condotti nei campi di concentramento di un Reich sempre più in rovinoso declino. I crocefrecciati (nyilasok) compiono violenze ed assassinii ai danni degli ebrei anche nella stessa capitale ungherese. Sarà solo nel gennaio del 1945 che l’intervento degli Alleati riuscirà a porre fine alla macchina del genocidio.
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Il Giorno della memoria delle vittime ungheresi dell’Olocausto, organizzato sotto il patrocinio del Governo ed in particolare del Ministero della Pubblica amministrazione e della Giustizia, prevede un programma fitto di appuntamenti le cui location privilegiate sono il Museo della Casa del Terrore (Terror Háza Múzeum) al civico 60 di Via Andrássy e il Centro della Memoria dell’Olocausto di Via Páva nel distretto VIII della capitale. Il primo, di cui il nostro blog ha già parlato in un precedente intervento, è tristemente noto per aver ospitato dal 1937 in poi - molto prima della polizia politica comunista - altri inquilini dalla fama altrettanto nefasta, vale a dire il movimento nazista dei crocefrecciati per diventare a partire dall’autunno del 1944 prigione e centro di raccolta e tortura di ebrei e oppositori politici. Via Páva, dove sorgeva la seconda sinagoga di Budapest, è stata invece scelta nel 2002 come area adibita ad ospitare il Centro della Memoria dell’Olocausto, vero e proprio capolavoro di arte moderna, opera dell’architetto contemporaneo Frank Owen Gehry già realizzatore del Guggenheim di Bilbao. Il centro opera come istituto culturale e di ricerca ed è anche sede di una fondazione.
Sessanta paia di scarpe in ferro fuso come monumento agli ebrei caduti


Il programma di oggi prevede a fine giornata una fiaccolata silenziosa sul lungo-Danubio, in un tratto compreso tra il ponte delle catene e il ponte Margherita, lato Pest, nei pressi di un monumento commemorativo (vedi foto) in un luogo simbolo delle esecuzioni sommarie subite da ebrei ungheresi e da chi, come la suora cattolica Salkaházi Sára beatificata da Benedetto XVI nell’aprile del 2006, li aveva aiutati o nascosti. Commemorazioni ufficiali con mostre, momenti di preghiera e concerti anche nelle città di Pécs e Hódmezővásárhely, dove parlerà anche il Ministro della Difesa Csaba Hende. 
Le celebrazioni avranno una loro coda con l’appuntamento di domenica 21 aprile quando alle 16 si svolgerà a Budapest la abituale Marcia della Vita promossa dalla omonima fondazione e che quest’anno avrà come ospite d’onore Agnes Hirschi, figlia del console svizzero Carl Lutz che salvò la vita di centinaia di ebrei ungheresi.

Per la versione inglese del programma ufficiale delle commemorazioni consulta il sito ufficiale del Governo.

Fonti: holokausztaldozatai.kormany.hu

mercoledì 10 aprile 2013

AFGHANISTAN E MALI. RIMPATRIO E PARTENZA. L’UNGHERIA NELLE ZONE CALDE DEL MONDO


Un soldato ungherese al ritorno dall'Afghanistan
Lo scorso 28 marzo con il ritorno in patria di 111 soldati dall’Afghanistan l’Ungheria ha chiuso uno dei capitoli più significativi del suo impegno nel paese centro-asiatico. Il contingente infatti costituiva il tredicesimo – e ultimo – avvicendamento del Gruppo di ricostruzione provinciale (PRT – Provincial Reconstruction Team) a gestione magiara nella provincia settentrionale afgana di Baghlan. Ad attendere i militari al loro rientro guidati dal Ministro della Difesa Csaba Hende c’erano all’ aeroporto di Budapest Ferenc Liszt per una cerimonia formale di saluti con parenti e autorità, il Primo Ministro Orbán, il presidente della Commissione parlamentare di difesa e sicurezza Máté Kocsis ed il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito ungherese Tibor Benkő. Quest’ultimo nel suo discorso ha colto l’occasione per ringraziare oltre a quelli appena tornati tutti i soldati che hanno preso parte al PRT negli utlimi anni perché “hanno dimostrato – ha ricordato il colonnello generale – che il soldato ungherese insieme agli speciali ruoli tattici è in grado non solo di prestare servizio alla popolazione nella gestione delle calamità e nell’aiuto umanitario ma anche nel campo dell’istruzione, della formazione, dell’assistenza sanitaria e in particolari investimenti nonché nell’organizzazione di compiti amministrativi”.
L'ultima operazione congiunta del MAT con l'esercito afgano

Tra ottobre 2006, anno in cui l’Ungheria ha preso il comando come nazione guida del PRT - la prima volta in Afghanistan per un membro NATO dell’ex-blocco sovietico -  e marzo 2013 si sono alternati nella città capoluogo di Baghlan Pol-e Khomri 2500 soldati. Gli uomini di “Camp Pannonia”, che negli ultimi 183 giorni di servizio hanno portato a termine ben 660 compiti, hanno svolto funzioni militari e civili in piena linea con quella che è l’attività umanitaria e di sviluppo propria dei PRT in tutto il territorio afgano. I PRT sono lo strumento privilegiato della comunità internazionale nella preparazione e nell’implementazione della transizione afgana che va dal rifacimento di tutte le infrastrutture statali al consolidamento delle istituzioni. Il passaggio di consegne ungherese nella provincia di Baghlan è una tappa del processo, iniziato nel 2011,  di trasferimento della responsabilità della sicurezza e del totale controllo del territorio dalle forze della coalizione internazionale alle autorità afgane. Oltre all’attività prettamente militare di pattugliamento, di protezione delle truppe e di scorta ai convogli l’esercito magiaro si è dedicato prevalentemente a progetti civili nel settore dell’istruzione, dell’assistenza sanitaria e della sanità pubblica, alla costruzione e alla manutenzione di strade e ponti, alla prevenzione delle inondazioni, al supporto alimentare ai rifugiati e alla garanzia nell’erogazione dell’ energia elettrica. (Per una rassegna dettagliata dei progetti seguiti clicca qui.). Il PRT di Baghlan in cui hanno operato sotto comando magiaro anche militari montenegrini, albanesi e croati, è stata la prima esperienza nella storia dell’Ungheria di gestione amministrativa completa e autonoma di un territorio in un’altra parte del mondo. 
Elicotteristi ungheresi curano la manutenzione di un Mi-35 d'assalto

Tuttavia quella di Baghlan non è stata e non è l’unica missione ungherese in Afghanistan. L’Ungheria è presente nel paese già dal 2003 e partecipa alle operazioni congiunte Enduring Freedom ( a guida USA) e ISAF (a guida NATO) nel quadro delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza ONU e dei mandati conferiti volta per volta dall’Assemblea Nazionale. L’impegno ungherese nel paese asiatico continua con altri 7 contingenti (in tutto più di 500 uomini) oltre a tutta una serie di cariche ricoperte nei vari livelli della gerarchia militare dell’ISAF. Il gruppo più numeroso dopo il rimpatrio di fine marzo resta ora quello che, impegnando 227 militari, è integrato nel contingente multinazionale che si occupa della protezione dell’Aeroporto internazionale di Kabul e alla cui guida è stato già due volte, compito che è stato prolungato fino al prossimo ottobre. Molto apprezzata è anche la missione di due gruppi di elicotteristi  entrambi dell’ 86mo stormo della base di Szolnok operanti l’uno a Kabul con i Mi-35 d’assalto e l’altro a Shindand nella provincia orientale di Herat con i Mi-17 da trasporto. Questi due contingenti sono dediti alla formazione sul campo degli avieri delle forze aeronautiche afgane.  Altri tre contingenti impegnati in attività di training e formazione dell’esercito nazionale afgano nonché di supporto logistico ai militari ungheresi nel teatro delle operazioni sono il Team di supporto nazionale dislocato a Kabul e a Mazar-e-Sharif, la scuola di Combat Service Support di Kabul a guida tedesca in cui si effettuano tra gli altri corsi di scuola guida,cucina e approvvigionamento, e il Military Advisor Team (MAT) inaugurato a fine marzo e insediatosi a Mazar-e-Sharif come erede dell’Operational Mentor and Liaison Team (OMLT) operante a Baghlan in cui i magiari sono in compresenza con gli americani della Guardia nazionale dell’Ohio. Compiti piuttosto delicati invece per un altro contingente ungherese di una quarantina di elementi circa, il team delle operazioni speciali (SOF) sotto comando USA, giunto ormai a partire dal 2009 alla sua undicesima rotazione e che si occupa oltre che del supporto all’esercito afgano anche dei respingimenti delle forze anti-governative in più province del paese.
Un soldato ungherese presso l'Aeroporto internazionale di Kabul

In linea con gli indirizzi e le decisioni della conferenza di Kabul del 2010 e del vertice NATO di Chicago dello scorso anno la missione ISAF dovrebbe aver lasciato l’Afghanistan entro la fine del 2014 dopo aver ultimato il graduale transfer-of-authority in tutte le province. La exit-strategy militare ungherese viene pertanto definita con gli alleati in ambito NATO così come ad essere pianificate a livello multilaterale sono anche la natura e le nuove forme di impegno post-transizione della comunità internazionale nel paese asiatico, come ad esempio l’accordo di
Operazione congiunta esercito ungherese - esercito afgano
partnership e di sviluppo UE-Afghanistan.  Da non sottovalutare tuttavia il quadro delle relazioni bilaterali che prima del 2006 erano piuttosto trascurabili e che in seguito all’esperienza del PRT di Baghlan hanno registrato un sensibile incremento a partire dalla riapertura dell’ambasciata ungherese a Kabul. Oltre ai 2 miliardi di fiorini (più di 6 milioni e mezzo di euro) investiti a Baghlan negli ultimi sette anni è già allo studio un contributo annuo di 500 mila dollari per le spese dell’esercito afgano dal 2015 al 2017. L’Ungheria si conferma quindi disponibile a supportare in futuro l’Afghanistan considerando costantemente i mutati obiettivi e necessità ed in linea con la credibilità acquisita proprio nel recente passato. I magiari hanno dato prova di amministrazione buona ed efficace e, come si legge nel documento del governo sull’Afghanistan “Previsione strategica di medio termine”, lo hanno fatto sopperendo alle proprie limitate risorse finanziarie con un trasferimento di know-how qualitativamente indiscutibile.  Questo è stato reso possibile dall’appoggio dei militari ma anche dalla sinergia tra i ministeri coinvolti e la preziosa opera di elaborazione e realizzazione dei progetti da parte delle Ong attive sul posto. Durante il saluto ai soldati del contingente PRT il Primo Ministro Viktor Orbán ha ricordato nel suo intervento il triste tributo pagato dall’Ungheria in Afghanistan che conta sette vittime. Orbán ha poi ribadito come i militari ungheresi “non hanno servito come una legione dimenticata avendo essi lasciato nel mondo un’impronta della loro umanità e competenza”.

L’Ungheria è chiamata a lasciare un segno anche nel Mali. Il 18 marzo scorso infatti a Székesfehérvár si è tenuta presso il Comando Interforze dell’Esercito ungherese una cerimonia in occasione della partenza per il paese africano dei soldati ungheresi che prenderanno parte all’operazione European Union Training Mission–Mali (EUTM-MALI) sotto egida UE. Un ufficiale è già operativo in Mali dal 27 febbraio e svolge funzioni di collegamento tra il quartier generale internazionale e coloro che parteciperanno alla missione. Tre soldati del centro medico dell’ esercito saranno assegnati ad un ospedale da campo gestito da tedeschi. Altri sei uomini, in partenza il prossimo 13 aprile, affiancheranno i fucilieri dell’esercito del Mali insieme ad altri addestratori portoghesi. Il maggior generale Domján László ha sottolineato che i militari, tutti di comprovata esperienza internazionale perché già schierati in Kosovo e Afghanistan, svolgeranno attività di formazione e saranno dislocati nel sud del paese lontano dal teatro delle operazioni belliche che invece vedono impegnato il contingente francese nel nord. Domján ha colto l’occasione per ricordare che gli ungheresi sono già presenti nel continente africano in diverse missioni umanitarie sotto le insegne dell’ONU e dell’UE in Congo, in Somalia, nel Sahara occidentale e nella penisola del Sinai sul confine israelo-egiziano. La missione EUTM-MALI agisce a supporto dell’intervento militare francese organizzato su richiesta del Presidente del Mali e legittimato dalle Nazioni Unite per combattere la violenta espansione nel paese delle milizie islamiste legate ad Al-Qaeda. Il governo ungherese ha autorizzato la partecipazione alla missione in data 8 marzo  fissando il proprio contributo ad un massimo di 15 uomini (30 durante gli avvicendamenti) e legando la durata del mandato a quella delle operazioni ma non oltre la data del 18 maggio 2014. L’ammontare della cifra destinata alla missione è di 555 milioni di fiorini (circa due milioni di euro).

Fonti: kormany.hu, honvedelem.hu

lunedì 1 aprile 2013

MESSAGGIO PASQUALE, PAPA FRANCESCO, IDENTITA’ E DIVERSITA’, NUOVI MEDIA: PARLA IL CARDINALE PÉTER ERDŐ


In occasione del Venerdì Santo, giorno in cui i cattolici ricordano e celebrano la morte di Gesù Cristo, il primate d’Ungheria, cardinale Péter Erdő, è stato intervistato nel programma del primo canale della televisione pubblica ungherese M1, Az Este. Il porporato, reduce dal conclave che ha portato all’elezione di Papa Francesco, oltre a riflettere sul significato del messaggio pasquale ha fatto considerazioni su diversi temi, dal ruolo della Chiesa in questo momento di crisi economica all’elezione del nuovo Pontefice, dai riferimenti cristiani nelle carte costituzionali al dialogo con l’Islam, dall’immigrazione e dall’integrazione al ruolo dei nuovi media. “La Chiesa – ha esordito Péter Erdő – nel giorno del Venerdì Santo ricorda un fatto storico, la crocifissione  di un uomo, Gesù il Nazareno, la cui esperienza terrena non si conclude con la morte ma con la sua risurrezione”.  Questa vicenda che come ha ribadito il prelato non è mitologia ma storia “ha un significato anche per le nostre vite” perché Gesù  “non era un uomo qualunque, ha dimostrato il più grande amore e nella risurrezione Dio ha legittimato la sua vita ed i suoi insegnamenti”. “La vita dell’uomo – ha continuato Erdő – non scorre senza senso in una serie meccanica di eventi che alcuni chiamano storia ma costituiamo una parte di un tutto grande e sensato”.  Alla domanda su cosa sia essenziale oggi nel mondo il cardinale ha risposto dicendo che “noi in qualche modo siamo tutti fratelli e tutto quello che l’odio e l’egoismo umano scatenano addosso al mondo come sofferenza, può essere vinto”. 

Interpellato sul ruolo della Chiesa in questa contingenza economica di crisi a livello globale il primate d’Ungheria ha ricordato come essa non offra modelli economici anche perché la validità di simili insegnamenti sarebbe di breve durata.”La Chiesa però – ha ribadito – parla direttamente all’uomo e gli attori economici dovrebbero applicare i 10 comandamenti, Non mentire, Non rubare, Non uccidere…”. Tutto questo non è facile perché “la vita è complessa, lo sono le scienze naturali con tutta la biologia e così lo è anche il funzionamento dell’economia mondiale e in questo sistema composto di tanti elementi è necessario comprendere dove conduce il comportamento dell’uomo e dell’umanità”. In questo senso il cardinale ungherese  ha fatto presente come la Chiesa intervenga con la sua dottrina sociale  che “negli ultimi decenni si è molto sviluppata e che ha dato riflessioni provate e sensate in tutta una serie di nuove situazioni”. In questo contesto si inserisce dunque il ruolo della Chiesa che è quello di “porre l’accento sui valori dell’amore e della solidarietà anche in campo economico per quanto questo possa essere difficile”. Dal punto di vista delle opere più tangibili e visibili la Chiesa interviene per alleviare il peso delle sofferenze non solo di chi è vittima di ristrettezze dovute alla crisi economica ma anche di chi patisce le pene dovute a sciagure di altro genere. A tal proposito il cardinale Erdő ha fatto l’esempio delle raccolte di generi alimentari organizzate in tutte le parrocchie ungheresi dalla Caritas dove in alcuni casi è stato necessario intervenire più massicciamente perché ciò che era stato raccolto non soddisfaceva le maggiori esigenze. Esperienze del genere per la Chiesa non sono né un compito né un impegno, parole usate dall’intervistatore, ma “un obbligo imprescindibile” anche perché “la Buona Novella è stata annunciata ai poveri”. 
 
Il Papa Francesco in pubblico
Parlando del recente Conclave è stato impossibile non menzionare il fatto che il cardinale Erdő sia stato considerato uno dei papabili. “Non ci sono mai candidati“ ha ricordato il primate ungherese e a proposito della stampa mondiale che più volte lo ha inserito nelle classifiche dei favoriti al soglio pontificio ha riconosciuto “di essere onorato per il fatto che il suo nome sia stato pensato” ma allo stesso tempo ha sempre ritenuto la cosa “non seria e non realistica”. Di Papa Francesco,”il cui stile personale è ancora poco noto al mondo”,  il porporato ha esaltato “la straordinaria sensibilità per le cose essenziali nonché la sua comunicatività. “Parla della nostra fede con brevità mettendo l’accento sull’essenziale attraverso formule brevi e più facilmente comprensibili nonché con gesti significativi fatti a ripetizione”. Questo Papa è “un regalo per la Chiesa come lo fu san Francesco che ridiede vita alla Chiesa del suo tempo attraverso una fede vissuta con radicalità e con l’esempio della povertà”, un messaggio che suona anche oggi come profondamente attuale. “Questo è un Papa italo-argentino e quindi ha anche origini europee “ ha sottolineato Erdő e il fatto che venga da un altro continente “dimostra che siamo una Chiesa mondiale e che la nostra vocazione è rivolta a tutta l’umanità”.  ”Questa elezione è uno stimolo affinché il cattolicesimo europeo definisca il suo ruolo nel contesto mondiale” più di altre infatti la Chiesa europea è chiamata a gestire situazioni di cui ne è scenario esclusivo come il dialogo con le chiese ortodosse orientali e l’ecumenismo anche per la presenza di queste comunità religiose. Un’altra sfida peculiare della Chiesa del vecchio continente è il rapporto con l’Islam e non tanto per il problema degli immigrati quanto perché l’Europa confina direttamente con paesi a maggioranza islamica senza dimenticare che lo stesso vale per stati europei come Albania e Bosnia Erzegovina.  


Una riflessione più approfondita da parte del presidente della Conferenza episcopale ungherese merita proprio il rapporto con l’Islam “una religione divisa in correnti al cui interno manca un’autorità centrale e che risente anche di una diversità delle fonti”, tema che rimanda inevitabilmente alla questione del multiculturalismo e della relazione con la diversità. E’ il riconoscimento e la convinzione della propria identità secondo Erdő la chiave per relazionarsi con l’altro. “Noi ci poniamo sempre in modo schizofrenico quando si discute sulle nostre radici cristiane laddove dovremmo accettarle come un’eredità culturale, un fatto naturale”. “Non è poi proprio così scontato che nelle città si vedano i campanili”. “E’ fondamentale – ha dichiarato il cardinale – proteggere la nostra identità, le nostre origini” e così facendo “non avremo nemmeno paura di confrontarci con chi ha una eredità, un’identità e un portato culturale diversi” dai nostri. Strettamente collegato al dibattito multiculturale è il problema dell’integrazione, come conseguenza anche dell’immigrazione, e in merito a questo Péter Erdő esprime la sua contrarietà rispetto “alle esagerazioni della pressione dell’assimilazione che è meglio evitare”. “Non bisogna necessariamente rendere tutti identici facendo in modo che ci si dimentichi delle proprie lingue e delle proprie culture di appartenenza,  la soluzione sta in una integrazione assennata”.  

Sempre in tema di identità culturali il giornalista richiama l’attenzione del prelato sui dibattiti passati e presenti sull’inserimento nei testi delle Costituzioni degli stati della menzione alle radici cristiane e la mente va subito al progetto di Trattato costituzionale dell’Unione Europea, dove essa non fu prevista, ed alla più recente approvazione della Legge Fondamentale ungherese nel cui preambolo si professa invece “la virtù unificatrice della cristianità” per la nazione.  Il cardinale Erdő pur non sbilanciandosi nel giudicare l’una o l’altra soluzione invita a considerare “l’eredità greco romana e giudaico cristiana non come un’imposizione ma come il riconoscimento di una situazione di fatto”. Dispositivi del genere “disegnano l’identità culturale di una regione” e indipendentemente dal fatto che siano o meno parte di documenti costituzionali “una società è più predisposta ad accettarli se si rapporta bene con il proprio passato e la propria cultura “. Citando poi passati studi comportamentali Erdő ha fatto notare che “l’appartenenza a comunità religiose e quindi anche a quella cristiana aumenta il grado di tolleranza verso la diversità e quindi il rispetto di identità altrui è legato all’affermazione di una propria identità”.  

Il coinvolgimento dei giovani nell’opera di evangelizzazione offre lo spunto per affrontare in coda all’intervista il tema dell’utilizzo delle nuove tecnologie a servizio della Chiesa. Il cardinale riconosce che “si aprono nuove possibilità di missione nel campo  della comunicazione audiovisiva e della rete”. Sicuramente non si può prescindere “dalle parole e dal discorso logico” necessario in alcuni casi per spiegare il Vangelo ma “bisogna anche concentrare l’attenzione su pochi punti certi ed essenziali”. Tutto sommato questo oltre ad essere ”lo stile del nuovo Papa è stato anche lo stile di Cristo, basta vedere le parabole la cui forma non richiede ulteriori spiegazioni”.  “Trasmettere un messaggio breve e diretto – ha concluso il cardinale Erdő - è ideale per coinvolgere anche le generazioni più giovani”.    

Fonti: hirado.hu