Napoli e Ungheria sono molto più vicine di quanto si possa pensare. Questo legame affonda le sue radici nella storia medioevale e ruota attorno alla figura della regina Maria d’Ungheria andata in sposa a Carlo II d’Angiò. Un libro di Mária Prokopp racconta la storia di questo intreccio dinastico attraverso l’arte e i monumenti ovvero i segni più tangibili che ne sono derivati e di cui tuttora Napoli è beneficiaria. Una trattazione fluida e ricca di documentazione fotografica per testimoniare quella che da più parti è definita ”l’età dell’oro” del capoluogo partenopeo alla cui fioritura ha partecipato una serie di sovrani di origini magiare.
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Per capire come mai lo stemma degli Árpád, la prima dinastia di sovrani magiari, possa ornare e sovrastare la facciata del duomo di Napoli basta leggere il nuovo libro della professoressa Mária Prokopp, “Ricordi ungheresi medievali a Napoli”. Mediante un percorso fatto di puntuali riferimenti storici che coprono un arco temporale di circa duecento anni a partire dalla seconda metá del 1200, la professoressa Prokopp, ordinario di Storia dell’Arte presso l’Università degli studi Eötvös Lóránd (ELTE) di Budapest, ricostruisce la cronologia della presenza ungherese nell’arte e nell’architettura napoletana. La trattazione è accompagnata da una ricca e dettagliata documentazione fotografica curata dall’ingegnere Horváth Zoltán György. Il volume edito da Romanika - casa editrice molto attenta alla diffusione del patrimonio culturale magiaro - si aggiunge ad altri lavori che in passato hanno avuto come oggetto le tracce e i monumenti ungheresi in Italia e a Roma.
L’ultima opera di Mária Prokopp, presentata al pubblico napoletano la scorsa settimana al caffè letterario del complesso di San Domenico Maggiore, si occupa in particolare del periodo angioino che senza alcun dubbio “può essere considerato l’età dell’oro per Napoli”, come ricorda il professore Amedeo Di Francesco nella sua relazione introduttiva.”E’ innaturale - sottolinea Di Francesco che insegna lingua e letteratura ungherese all’Università degli studi L’Orientale - parlare della Napoli angioina senza parlare di Ungheria”. Tutto ruota attorno alla figura di Maria d’Ungheria che entra nella storia del regno di Napoli attraverso il suo matrimonio con Carlo II d’Angiò. Gli effetti di questa unione si protraggono per diverse generazioni di sovrani napoletani e ungheresi. Nella cronologia della millenaria monarchia magiara si distingue ad esempio chiaramente la ”fase dei re angioini”. Il professore Di Francesco fa riemergere questa fusione dinastica elencando una serie di importanti richiami letterari. Carlo Martello, figlio della regina Maria, è il protagonista dell’ottavo canto del Paradiso di Dante. Andrea d’Ungheria brutalmente assassinato per intrighi di potere è invece il ”puer alti animi” di cui scrive Petrarca in una sua epistola delle Familiares. Imre Madách poi, scrittore ungherese dell’ottocento, dedica agli angioini una intera trilogia.
L’eredità più tangibile resta tuttavia quella affidata all’arte e i segni lasciati dagli angioini, negli anni trattati da Mária Prokopp, sono caratterizzanti non solo quell’epoca. Sono tuttora i simboli di una città. Le basiliche di San Lorenzo Maggiore, di Santa Chiara, lo stesso complesso di San Domenico Maggiore e il duomo, oltre ad appartenere al medesimo profilo architettonico, sono legate alla profonda devozione e alle vicende personali di una famiglia di regnanti che ha tra le sue figure di spicco proprio Maria d’Ungheria. Ne parla nella sua relazione il professore Pierluigi Leone De Castris, docente di storia dell’arte moderna all’Università Suor Orsola Benincasa, mettendo in risalto i pregi, la personalità, le doti di questa regina. Una donna dal carattere forte, lungimirante, amante e cultrice dello sfarzo ma al tempo stesso devota e umile nella preghiera. Prima di tutto madre, di tredici figli, tra cui si distinguono principalmente due re ed un santo, quel Ludovico vescovo di Tolosa santificato proprio in sua presenza a significare quasi il riconoscimento della divinità della stirpe reale Árpád-Angiò (beata stirps). Maria è regina di Napoli e lo è anche quando rimane vedova. Difende strenuamente la doppiezza del trono magiaro e napoletano in favore del nipote Carlo divenuto precocemente re d’Ungheria. Di fronte alla prepotenza e alla caparbietà senza scrupoli del figlio terzogenito Roberto nel guadagnarsi la corona di Napoli, stanca di una politica fatta di troppe bassezze e colpi di mano si ritira in convento insieme alle clarisse. Chiude la sua esistenza nella riflessione e nell’esperienza della vita monastica, ritornando idealmente alle origini. Si può infatti intuire come nella sua educazione abbia influito l’avere avuto in famiglia Santa Elisabetta e Santa Margherita d’Ungheria, rispettivamente zia del padre e zia paterna.
La predilezione per l’ordine francescano, di cui divenne anche terziaria, non inibisce tuttavia il gusto della regina per il lusso come dimostra una commissione - documentata - di 4600 pelli e piumaggi di pavone. Il patrimonio personale di Maria d’Ungheria è stato valutato in quattromila once, una cifra pari ad un decimo delle entrate dell’intero Regno di Sicilia, un autentico tesoro in buona parte investito in numerose attività di mecenatismo. Si ricordano tra gli altri le sovvenzioni per alcuni affreschi nella Chiesa inferiore della Basilica di San Francesco ad Assisi. Il nome della sovrana si lega però alla cosiddetta “opus manuum suarum” per eccellenza, il complesso di Santa Maria di Donnaregina, realizzazione fortemente voluta da Maria e donata alle clarisse orfane del loro convento distrutto da un terremoto e la cui chiesa ne ospiterà anche il monumento funebre. La memoria di questa sovrana ungherese è così affidata alle opere e ai monumenti di cui è stata committente e finanziatrice.
“Ricordi ungheresi medievali a Napoli” della professoressa Prokopp, presentato grazie al patrocinio del Consolato ungherese e dell’associazione culturale che porta il nome non casuale della regina Maria d’Ungheria, è un manuale di facile lettura, in cui la dimensione scientifica del testo si fonde con quella divulgativa. Nelle pagine del libro, grazie all’arte e alla storia, si legge un messaggio valido per le generazioni attuali. La Napoli angioina, baricentro di un regno che racchiude in sè la compenente francese e provenzale, mediterranea e orientale, che estende le sue mire fino a Gerusalemme e al Danubio, sembra essere lontanissimo precursore del progetto di unità del continente europeo. Il lascito del dominio angioino arricchito, come descritto, dall’elemento magiaro è artistico e politico al tempo stesso. La cultura europea non va solo conservata, ma continuata.
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Ciao Cristiano Preiner,
RispondiEliminaScusa il disturbo,
Per cortesia, avrebbe Lei un contatto mail dell'Associazione culturale ungherese della Campania Maria d'Ungheria regina di Napoli ? Cerco di contattargli pero non posso trovare neanche un sito internet...
Grazie in anticipo per la collaborazione,
Cordiali saluti
Anais
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RispondiEliminaanche a me grazie
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