Una foto del ponte Elisabetta durante la ricostruzione negli anni 60 |
Dopo Strasburgo, Bruxelles, Lubiana, Maribor, Bucarest e Roma, la mostra Ponti-Epoche-Budapest fa tappa a Napoli. L’inaugurazione ufficiale giovedì scorso, nell’antisala del Consiglio provinciale di Napoli presso il complesso di Santa Maria La Nova. Moderatrice dell’evento Judith Jámbor Katalin (nella foto in basso), presidente dell’Associazione culturale “Maria d’Ungheria Regina di Napoli” cui va il merito, insieme al Consolato onorario d’Ungheria a Napoli, di aver inserito il capoluogo partenopeo nell’iniziativa.
Molto nutrita la rappresentanza istituzionale a partire dall’assessore provinciale alla cultura Francesco De Giovanni di Santa Severina e dal console onorario Andrea Amatucci. Nei loro interventi sono state riconosciute la validità e la potenzialità di manifestazioni del genere in un contesto socio-economico particolarmente complesso e problematico come quello napoletano. La sinergia tra istituzioni sul piano artistico e scientifico è un elemento imprescindibile nell’organizzazione di eventi che riescono a trasmettere dei valori anche alla luce della storia e delle comuni esperienze passate. Napoli e Budapest, il cui gemellaggio a partire dal 1997 è stato menzionato da László Gálantai addetto agli Affari politici dell’Ambasciata d’Ungheria in Roma, non hanno in comune solo l’acqua nelle sue forme marina e fluviale. I destini delle due città sono stati legati da figure femminili di rilievo come la regina consorte Maria d’Ungheria e Beatrice, moglie del sovrano rinascimentale magiaro Mattia Corvino.
La dottoressa Judith Jámbor |
Ponti-Epoche-Budapest “è al tempo stesso storia e storia dell’arte”, ha spiegato Péter Módos, presidente della fondazione Európai utas (Viaggiatore europeo), è una mostra fotografica di 29 pannelli e di brani didascalici dedicati alla capitale ungherese ed alle sue infrastrutture più caratteristiche dal punto di vista storico, architettonico, turistico: i ponti. Nel saluto scritto del sindaco di Budapest, István Tarlós, inoltrato proprio per l’apertura della rassegna, si legge che “le immagini esposte abbracciano più di due secoli della storia della città di Budapest e illustrano anche quella dell’Ungheria, infatti la città è sempre il centro degli avvenimenti storici del Paese, come la rivoluzione e lotta di liberazione contro gli Asburgo del 1848-49, la seconda guerra mondiale, del 1945, l’assedio della città, oppure il 1956, la rivoluzione e la sua oppressione”. Il primo cittadino di Budapest ripercorre nel suo messaggio la tragicità di alcuni eventi immortalata proprio dai rottami nel Danubio ghiacciato del Ponte delle Catene fatto esplodere dai nazisti, oppure dai tank sovietici a bloccare il Ponte Margherita. Oggi quegli stessi ponti sono il simbolo paesaggistico migliore della capitale magiara in un contesto panoramico unico in cui si sposano fiume, pianura e colli.
I contributi istituzionali alla mostra hanno introdotto un successivo approfondimento culturale offerto dagli interventi di Amedeo Di Francesco, professore ordinario di Lingua e Letteratura ungherese all’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, e di László Csorba, direttore del Museo Nazionale di Budapest.
Gli spunti di riflessione offerti dal professor Di Francesco partono dalla letteratura magiara e portano a considerare un aspetto: i ponti di Budapest sono sempre stati e sono tuttora un punto di osservazione privilegiato, uno spazio fisico che invita alla riflessione. In altre parole l’incontro tra le case prospicienti il fiume e il fiume stesso è fonte di ispirazione comune per tanti poeti e scrittori nel modellare le loro considerazioni sulla storia, sul mondo. Così allora Gyula Illyés pensando al ponte delle catene ed al suo ideatore, il patriota risorgimentale ungherese István Széchenyi, scrive: ”il ponte vale più dei sui libri”, a significare come un’opera materiale sia così determinante da incarnare l’idea dell’ unificazione nazionale ancor più di uno scritto o di tanti discorsi. Il ponte delle catene non è tuttavia il solo a figurare nelle antologie ungheresi. János Arany, grande poeta ottocentesco, sceglie il ponte Margherita per titolare i versi del suo Híd-avatás (L’Inaugurazione del ponte) e Sándor Weöres riferendosi al ponte Elisabetta dirà che è quello che in inverno non si vede, immerso com’è nelle nebbie molto frequenti del periodo. Quanto detto riguarda i ponti reali ma l’immagine che il professor Di Francesco vuole lasciare è ideale: “l’Ungheria stessa è ponte tra sé stessa è il mondo, tra Oriente e Occidente, un tassello nella costruzione dell’Europa”.
La ricostruzione storica della mostra è affidata invece al professor Csorba la cui relazione parte dal Medioevo, quando la capitale dell’Ungheria è solo Buda collegata a Pest - fulcro dello sviluppo economico dell’intera area - attraverso un ponte non permanente adagiato sul fiume e rimosso ad ogni fine della stagione calda. Csorba sofferma la sua esposizione su quello che è il vero simbolo della città, sul primo ponte di Budapest, il Lánchíd (Ponte delle Catene). Inevitabile l’accostamento con il suo ideatore, István Széchenyi, e segnatamente con la sua esperienza britannica. Széchenyi resta affascinato dall’Inghilterra, dagli stili architettonici, dall’illuminazione pubblica dai sistemi di scarico idrico, water closet compresi. Ma a colpirlo maggiormente sono le macchine, gli allevamenti di cavalli e la Costituzione. Il parlamentarismo liberale inglese come modello di composizione e organizzazione della comunità nazionale avrà una notevole presa sul politico ungherese. Inglese sarà anche il progettista del Ponte delle Catene, quel William Tierney Clark tra i pionieri nell’ideazione di ponti a sospensione. L’Hammersmith Bridge di Clark sul Tamigi si può considerare la prova generale del Lánchíd ovvero del ”GREAT SUSPENSION BRIDGE OVER DANUBE”, come si legge sulla tomba dell’ingegnere d’oltremanica. Il Lánchíd è l’opera che caratterizza una città, un’epoca, un uomo. Anche per questo Kossuth Lajos definisce Széchenyi ”il più grande magiaro”.
La mostra Ponti-Epoche-Budapest, che resterà visitabile fino al prossimo 10 dicembre, è un biglietto da visita speciale per la città che, come ha sottolineato il professor Di Francesco, “ora è il meglio dell’attuale Ungheria”. Unanime è stata in conclusione la manifestazione di un intento, di una speranza: vedere realizzato un altro ponte virtuale nel prossimo futuro con una mostra su Napoli a Budapest.
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